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Grazie Ferrara. Un grande dono di cui sono grato alla città è che qui, da giovani, ci si annoia moltissimo. Ed è in giornate come oggi, con il cielo bianco e nulla da fare, che io ho iniziato a leggere, scrivere, suonare. La noia è importante, aiuta a sviluppare la creatività”.
Esordisce così Vasco Brondi sul palco del Teatro Comunale di Ferrara, la città dove è cresciuto e da cui è partito nel 2008 con il nome di Luci della centrale elettrica. Un concerto quello di domenica (16 dicembre 2018) pensato come conclusione di un percorso, momento di bilancio di un viaggio fatto di musica e parole che da Ferrara è partito e che ora giunge al termine per diventare non si sa ancora bene cosa: sempre sulle scene a cantare ma con il suo nome di battesimo, scrittore come fa già nei libri che alterna con i suoi album, oppure autore di cinema, fumetti, poesia, più difficilmente barman (cosa che – già con poca convinzione, dice – faceva in gioventù).

Vasco Brondi (foto Max Cardelli 2018)
Brondi a Ferrara (foto Luca Stocchi 16 dicembre 2018)

L’ironia e la capacità di trovare sempre un senso al paradosso sono il segno distintivo delle cose che Vasco Brondi dice, scrive e canta. E così, con questa sua modalità alternativa e obliqua, fa il punto sull’attività artistica che ha trasformato un giovane sperimentatore di suoni e testi in un cantautore che con emozione ha scoperto di essere apprezzato dapprima dall’artista concittadino Giorgio Canali, poi da una star della musica come Jovanotti, guardato con familiarità da Battiato, coinvolto dai suoi idoli, Cccp, e dall’amato De Gregori, finendo con lo stupore di vedere i versi di una sua canzone scritti sul muro in una strada di Catania.

Sono passati dieci anni dall’esordio con quel nome lungo e un po’ fuorviante di Le luci della centrale elettrica. “La cosa buffa – dice – è che prima erano tutti lì a chiedermi ‘Ma perché Le Luci della centrale elettrica?’ E adesso invece non fanno che interrogarmi ‘Ma perché basta con Le Luci della centrale elettrica?’”
Spiega che proprio a Ferrara è nato ufficialmente il nome, che sembra quello di un gruppo o di un album o chissà che. “È un nome che avevo nella mia testa da tempo, ma che non avevo condiviso con altri. È diventato pubblico il giorno in cui mi hanno dato l’opportunità di esibirmi in un locale ferrarese di via Bologna, dov’era in programma il concerto di un gruppo affermato e serviva qualcuno che cantasse prima”. Nel manifesto della serata dovevano scrivere anche il suo nome. “Così ho detto per la prima volta a voce alta che volevo usare Le luci della centrale elettrica. Manu dello studio di registrazione mi fa ‘Mi sembra una cazzata, magari pensaci e poi mi dici’. Alla sera mi chiama per chiedermi cosa mettere e gli rispondo che va bene Le luci della centrale elettrica. Lui sta zitto e poi: ‘Contento tu…’”.

Pubblico e tecnici al termine concerto di Vasco Brondi al Teatro comunale di Ferrara

A trentaquattro anni compiuti, Vasco ha alle spalle quattro album usciti per l’etichetta Tempesta Dischi  (‘Canzoni da spiaggia deturpata, 2008; ‘Per ora noi la chiameremo felicità‘, 2010; ‘Costellazioni‘, 2014; ‘Terra‘, 2017), un Ep allegato a XL Repubblica nel 2011 ‘C’eravamo abbastanza amati‘, il doppio album di questo tour dedicato al decennale ‘2008-2018: Tra la via Emilia e la Via Lattea‘, ma ci sono pure tre libri (‘Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero‘, uscito per Baldini Castoldi Dalai nel 2009, ‘Come le strisce che lasciano gli aerei‘, scritto insieme ad Andrea Bruno per Coconino Press nel 2012 e il resoconto del viaggio sul Po ‘Anime Galleggianti‘ scritto insieme con Massimo Zamboni per La nave di Teseo nel 2016).

Vasco Brondi-Luci della centrale elettrica a Ferrara

Tanti i pensieri e le parole che hanno scandito la sua avventura artistica e che, come spesso avviene nelle sue esibizioni, si accompagnano a pensieri e parole di altri autori che ha letto, a immagini e suggestioni raccolte in giro. In passato Vasco Brondi ha condiviso con il pubblico il suo amore per la scrittura di Gianni Celati e per la fotografia di Luigi Ghirri, la rivelazione di ritrovare pezzi di pianura emiliana infilati dentro una canzone di Lucio Dalla o dei Cccp. I libri, i film e la musica sono strumenti di interpretazione del mondo e di definizione della propria identità da cui ‘Le Luci della centrale elettrica’ attinge a piene mani. La letteratura non poteva quindi mancare in questo appuntamento conclusivo. Vasco Brondi ha ricordato: “A Italo Calvino una volta chiedevano quale sarebbe stato il talismano per il Duemila, e lui diceva: ‘Imparare poesie a memoria. Perché le poesie ti tengono sempre compagnia’. Ora leggerò alcuni ‘Sogni’ di Roberto Bolaño, sono poesie di questo scrittore cileno che dopo il colpo di Stato aveva scelto di vivere in Spagna”. Il sogno, del resto, è un filo conduttore presente spesso nei suoi brani. Ne ‘I nostri corpi celesti’ (2010) cantava “ti ricordi che i nostri sogni sfondavano i soffitti/ti ricordi i nostri disperati sogni di via Ripagrande e di viale Krasnodar” e la capacità di sognare è arrivata fino al più recente ‘Chakra’ (2017) dove, più appagato, rivela “ti sogno spesso e nel sogno una città si sta per allagare/ti do l’ultimo bacio sul portone/e mi liberi dal male e ti libero dal male”.

La chiusura del concerto di domenica 16 dicembre 2018

Il concerto, nella sala elegantemente classica e ovattata del teatro ferrarese si è aperto nella penombra di luci basse e bluastre per passare a colorazioni via via più calde, dal viola al rosso fino al culmine della conclusione in piena luce. Lì, sul bordo del palco illuminato, Vasco Brondi e i suoi musicisti si sono sporti per una finalissima a tutto ritmo, accompagnata dal battimano del pubblico con il brano che racconta lo stupore “dei nostri sogni assurdi che si sono avverati/…ci sarò io e arriverò, felice da fare schifo/e libererò tutti i tuoi pianti trattenuti” [per ascoltare il brano clicca sul titolo ‘Questo scontro tranquillo’].

Il sogno avverato chiude la carrellata delle visioni di un ragazzo che fantasticava un sacco di cose e magari si tuffava nella nebbia. Come “Michelangelo Antonioni – ha detto –  che raccontava che i suoi giorni preferiti erano quelli in cui si accorgeva che la nebbia era così fitta. Allora correva in piazza ed era felice perché diceva che finalmente poteva credere di essere altrove”. Altrove, dove Vasco Brondi andrà ancora una volta. Come nei versi di Bolaño che ha letto durante il concerto: “Ho sognato che mi rimettevo in viaggio sulle strade, ma questa volta non avevo quindici anni ma più di quaranta. Possedevo solo un libro, che tenevo nel mio zainetto. All’improvviso, mentre stavo camminando, il libro si incendiava. Albeggiava, e non passava quasi nessuna macchina. Mentre gettavo in un fosso lo zaino bruciacchiato ho sentito che la spalla mi pizzicava. Come se avesse le ali”.

Ad accompagnare Vasco Brondi sul palco del Teatro comunale di Ferrara c’era la band formata da Rodrigo D’Erasmo al violino, Andrea Faccioli alle chitarre, Daniel Plentz e Anselmo Luisi alle percussioni, Daniela Savoldi al violoncello, Gabriele Lazzarotti al basso e Angelo Trabace al pianoforte.

Fotografie di Luca Stocchi

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, MN 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, BO 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici UniFe, Mimesis, MI 2017). Ha curato mostra e catalogo “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”.


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