I RETROSCENA DI CAPACI, 23 MAGGIO 1992
Ma il tritolo distrugge i corpi, non le idee
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Ecco, a chi fosse sfuggito, il mio articolo pubblicato la scorsa settimana su questo giornale. Per non dimenticare, per ricordare che oggi, 23 maggio, è il triste anniversario della strage di Capaci, dove perirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca e gli uomini della scorta. All’interno, vi troverete fatti e rivelazioni e che certo non conoscete.
(Laura Rossi)
Bisognava fermarli, questo voleva il potere, ma le vittime lo sapevano. Il tritolo non è riuscito a cancellare il loro ricordo e le loro idee
Anche se può apparire inusuale, sento il bisogno di fare una doverosa premessa. Questo mio articolo non vuole essere la solita commemorazione dell’anniversario della Strage di Capaci del 23 maggio 1992, dove morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca e gli uomini della scorta, senza dimenticare la morte di Paolo Borsellino, che riprenderò più avanti, avvenuta nel mese di luglio. Intendo riportare episodi veritieri e interrogatori. Uno riguardante lo stesso Falcone, risalente a pochi giorni prima della strage, altri riportati dal noto scrittore Lodato, autore di Ho ucciso Giovanni Falcone, o dall’amico ex ispettore della Dia Pippo Giordano, collaboratore di Falcone e Borsellino e in prima linea contro Cosa Nostra.
Saverio Lodato incontra Giovanni Brusca, che ha scelto di collaborare con la giustizia, in una cella blindata. L’idea di uccidere Falcone fu presa per la prima volta nel 1982. “Lo odiavamo, lo abbiamo sempre odiato, perché era il primo magistrato, dopo Rocco Chinnici, che era riuscito a metterci in serie difficoltà e che aveva istruito, anche se non da solo, il primo maxiprocesso contro di noi. Era riuscito ad entrare dentro Cosa Nostra.Prendemmo la decisione iniziale di ucciderlo, per la prima volta, alla fine del 1982. Nel 1983 toccò a Rocco Chinnici. Quindi era giunto il turno di Falcone”.
Giovanni Brusca continua poi raccontando dei loro referenti politici, i cugini Salvo che appoggiano la scelta di uccidere Falcone. In quella fase, però, il ritorno sulla scena degli ‘scappati’ li costringe a sospendere il progetto, troppo impegnati a difendersi da questi nemici interni. Ma il progetto di uccidere Falcone non fu mai accantonato. Bisognava eliminare lui e tutti gli avversari: quelli che li avevano traditi, quelli che prima erano stati amici e che ora erano diventati nemici. “E mi riferisco in particolar modo agli uomini politici che spesso pur di coprire i loro affari illeciti che nulla avevano a che fare con la mafia, si trinceravano dietro lo scudo dell’antimafia per rifarsi una verginità”, afferma Brusca. “Giulio Andreotti, per ripulire la sua immagine ci provocò danni immensi: Salvo e Ignazio Lima sono stati uccisi proprio per questo“.
Dalla riunione del febbraio 1992 scaturiscono tutte le grandi tragedie di quell’anno. Non c’era tempo da perdere, dovevano agire. Nella riunione era già stato scelto il punto dove fare l’attentato: l’autostrada, il punto debole di Giovanni Falcone. Perché il punto debole? “Perché il magistrato lavorando a Roma era diventato abitudinario: tutti i fine settimana tornava a Palermo e doveva passare per l’autostrada. Il punto migliore era fra Carini e Capaci. Da quel momento cominciammo a darci da fare per reperire l’esplosivo”. Nel maggio 1992 a Roma arrivano i sicari di mafia, seguono Falcone, controllano tutti i suoi movimenti. Falcone deve morire, ma non deve succedere a Roma. Deve morire a Palermo con l’esplosivo, in un’azione terroristica. Adesso tocca a lui.
A proposito di questa terribile “sentenza di morte”, desidero citare l’esito di un interrogatorio di uno degli arrestati dopo la strage di Capaci, condotto dall’amico Pippo Giordano, ex Ispettore Dia e collaboratore per anni di un “Galantuomo Siciliano” qual’era il magistrato Falcone, come lo definisce in un affettuoso ricordo, in una nota di questi giorni.
Pippo racconta: “Uno degli arrestati per la strage, Gioacchino La Barbera, fu da me sentito e mi raccontò quale era stato il suo compito nell’attentato: doveva seguire il corteo e comunicare a Giovanni Brusca, che doveva azionare l’esplosivo, l’avvicinamento delle auto. Egli agganciò il corteo mentre procedeva verso Palermo, percorrendo appaiato una stradina parallela all’autostrada, sino a quando costretto dalla morfologia della strada non fu costretto ad abbandonarlo, ma ormai vicino al punto dell’esplosione. Quindi, dopo aver fatto la segnalazione a Brusca si era eclissato, udendo, tuttavia, il forte boato dell’esplosione. A quel punto chiesi di raccontarmi dettagliatamente i fatti e disse: “Ricordo bene che mentre viaggiavo appaiato al corteo ho visto Giovanni Falcone e gli agenti della scorta che ridevano fra loro”. Ed io subito:” Ma a lei non è passato per la mente che quegli uomini sorridenti andavano incontro alla morte? Non ha pensato per cristiana pietà di salvarli e di avvertirli? Infine chiesi: “Cosa ha provato in quegli attimi?”. “Non provavo niente, era u me travagghiu!” Era il mio lavoro! Risposta tipica di altri mafiosi, giacché non era la prima volta che la sentivo”.”Non ho mai dimenticato e mai dimenticherò Giovanni Falcone, onorato e fortunato dall’averlo conosciuto, e soprattutto ricordo l’ultimo nostro momento di svago (fumare una sigaretta), dopo l’interrogatorio di due mafiosi, nel cortile del carcere di Rimini, poco prima della chiamata a Roma”.
Il 23 maggio 2020, in occasione della Commemorazione di quella strage, Pippo Giordano ricorderà agli studenti tramite streaming online. Facciamo un passo indietro e ritorniamo a domenica 17 maggio 1992, il giorno prima del compleanno di Falcone, che si trova con la moglie Francesca e rilegge le poche righe del rapporto ricevuto: “La cupola si è riunita, si prepara un attentato forse dinamitardo e l’obiettivo, come sempre dal 1983, Giovanni Falcone”.
“D’ora in poi a Palermo scendiamo separati”, disse Falcone alla moglie. “Non ci provare Giovanni, scendiamo insieme”, la risposta di lei.
“E’ pericoloso e non posso garantire la tua sicurezza, come non posso garantire la mia, mi faranno saltare in aria“, rispose il magistrato mimando l’esplosione con un gesto delle mani.
“Mi garantisci che mi ami?” Una domanda semplice, quella della moglie.
“Si”
“Questo mi basta, sabato a Palermo scendiamo insieme, io non ti lascio”.
Mancavano solamente 6 giorni alla strage di Capaci. Nonostante siano trascorsi parecchi anni, la puzza di depistaggi è ancora fortissima, false ricostruzioni, verità occultate, ma la carica devastante del tritolo non è riuscita e non riuscirà mai a cancellare e a far dimenticare il sacrificio e le idee di Falcone e Borsellino, che andranno avanti nel tempo.
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Laura Rossi
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