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Guai a chi ce lo tocca! Anche quest’anno sta arrivando: non abbiamo fatto in tempo a mettere via (o ancora peggio a buttare) zucche e altre chincaglierie di Halloween che (implacabilmente) stava già arrivando: il tanto atteso Natale. Giusto il tempo del Black Friday per liberare i magazzini delle grandi catene e far posto alla merce che finirà impacchettata e spacchettata tra la notte del 24 e la mattina del 25 dicembre.
Vogliate scusare un inizio così caustico, io in realtà adoro il Natale, è la mia festa preferita, ma proprio per questo negli ultimi tempi comincia a passarmi la voglia di festeggiarlo. Di mezzo ci sarà anche la nostalgia di persone che lo rendevano ancora più speciale e che ora non ci sono più, ma ahimè forse centrano molto di più le luci di colori sempre più improbabili e accecanti; le decorazioni sempre più vistose ed eccessive; la corsa sempre più sfrenata ai regali, non importa cosa e a chi, l’importante è farli; le abbuffate sempre più ricche di cibo e povere di compagnia. Quest’anno ci si è messa anche l’ennesima strumentalizzazione politica e mediatica della ‘tradizione’ e dell’‘identità’. Ebbene sì, sto parlando delle vicende di Rozzano e del loro contraltare di Pietrasanta. Salvini che afferma “Se qualcuno ritiene di favorire i nostri bambini, negando quelle che sono le nostre tradizioni, è fuori di testa”, mentre il Presidente del Consiglio, che avrebbe ben altro di cui occuparsi in questi frangenti in tema di scuola e di altre emergenze, trova il tempo di dichiarare al Corriere della Sera: “Confronto e dialogo non vuol dire affogare le identità in un politicamente corretto indistinto e scipito. L’Italia intera, laici e cristiani, non rinuncerà mai al Natale. Con buona pace del preside di Rozzano”. Vale la pena di accennare al fatto che, è proprio il caso di dirlo, è stato fatto “molto rumore per nulla”, come hanno spiegato le insegnanti che quella scuola la vivono tutti i giorni [clicca qui per ascoltare la loro testimonianza]

Era da un po’ che pensavo a qualcosa di particolare da scrivere per questo Natale 2015 e l’idea che mi era venuta era proprio di conoscere meglio le tradizioni legate a questo periodo dell’anno, dall’Avvento all’Epifania. Di fronte a tutto quello che stava avvenendo però ho temuto il peggio: non vorrò mica diventare anche io una sentinella a difesa delle tradizioni e dell’identità italiane, naturalmente cristiane cattoliche, di fronte all’ondata relativista, multiculturalista, terzomondista, buonista e altri non meglio precisati ‘–ista’?
Poi però mi sono anche chiesta: le tradizioni e l’identità socio-culturale di cui voglio scrivere io sono le stesse di cui si riempiono la bocca lor signori? E fortunatamente la risposta è no, perché lor signori, e con loro molti altri, forse tutti quanti, probabilmente quelle usanze se le sono un po’ cucite addosso. Fin qui, sia ben chiaro, niente di male: l’importante è che allora tutti si possano cucire addosso le proprie, senza che qualcuno si arroghi di dire quale sia legittima e quale no.
A questo proposito mi è tornato in mente un famosissimo libro di Hobsbawm e Ranger, “L’invenzione della tradizione”. Nell’introduzione Hobsbawm scrive: “Scopo e caratteristica delle “tradizioni”, comprese quelle inventate, è l’immutabilità. Il passato al quale fanno riferimento, reale o inventato che sia, impone pratiche fisse (di norma formalizzate), quali appunto la ripetizione”. A questa immutabile reiterazione Hobsbawm oppone la “consuetudine”: “Non esclude a priori l’innovazione e il cambiamento, […] non può permettersi l’immutabilità” semplicemente perché nemmeno “la vita è così”.
Ecco, io mi sono occupata di consuetudini non di tradizioni, perché ho chiesto a persone nate fra gli anni Venti e la fine degli anni Quaranta di raccontarmi le tradizioni che hanno vissuto, per capire cosa è rimasto e cosa è cambiato, non un racconto statico, ma memorie di Natali che furono e che non sono più, nel bene e nel male.
Come era vissuto una volta il Natale? Qual erano i valori più sentiti? Cosa si faceva? Che cosa ci si aspettava? Sono queste le domande che ho fatto. Ed è venuto fuori che in fondo non era fatto di giorni particolari, di ricorrenze da celebrare, ma di un’atmosfera speciale, un’atmosfera di misticismo sospeso, non necessariamente cattolico in senso stretto, nel contesto del quale ogni fatto o gesto assumeva una sua pur dimessa ritualità. Era un Natale senza fronzoli ed esagerazioni fatto di piccole cose, era l’insieme di tante situazioni che capitavano una e una sola volta l’anno: le mance dei parenti e dei genitori, la messa di mezzanotte, la poesia imparata a memoria, il pranzo fatto di cibi speciali, il gioco della tombola. Era il ritrovarsi tutti assieme, era l’aria che si respirava, carica di gioia e di allegria.

Un’ultima cosa ancora: un grazie di cuore ad Anna Maria, Giorgio, Lucia, Maurizio e Teresa, che hanno voluto condividere con me i loro ricordi di Natale. Li leggerete nei prossimi giorni. A loro e a tutti voi lettori un augurio di un felice e sereno Natale.

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Federica Pezzoli

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