In questi terribili giorni, è impossibile apprezzare come una dote ciò che dovrebbe distinguere la specie umana dalle altre specie animali: la coscienza di sé, o consapevolezza. Noi siamo consapevoli di vivere. Noi abbiamo memoria. Noi possiamo scrivere la nostra memoria, fissarla per sempre. Dovremmo essere consapevoli di quello che abbiamo fatto e di quello che stiamo facendo, a differenza delle altre specie, che si limitano a vivere. Invece trovo che la consapevolezza sia la nostra tara d’origine, la nostra dannazione eterna. Non vivremo abbastanza per sapere se arriverà un momento in cui la specie umana la smetterà di accendere i suoi fetenti roghi e di saltarci sopra. Oppure se un giorno accenderà un rogo troppo grande, inestinguibile, che infine la estinguerà.
“C’era un buffissimo uccello, chiamato Fenice, nel più remoto passato, prima di Cristo, e questo uccello ogni quattro o cinquecento anni si costruiva una pira e ci si immolava sopra. Ma ogni volta che vi si bruciava, rinasceva subito poi dalle sue stesse ceneri, per ricominciare. E a quanto sembra, noi esseri umani non sappiamo fare altro che la stessa cosa, infinite volte, ma abbiamo una cosa che la Fenice non ebbe mai. Sappiamo la colossale sciocchezza che abbiamo appena fatta, conosciamo bene tutte le innumerevoli assurdità commesse in migliaia di anni e finché sapremo di averle commesse e ci sforzeremo di saperlo, un giorno o l’altro la smetteremo di accendere i nostri fetenti roghi e di saltarci sopra. Ad ogni generazione, raccogliamo un numero sempre maggiore di gente che si ricorda“.
(Ray Bradbury: Fahrenheit 451)
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Nicola Cavallini
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