da: Giorgio Fabbri
In questo periodo mi è capitato di leggere un bel libro di storia locale, dedicato a Quartesana (“Luminoso tramonto navigando ad est”) scritto da Don Vittorio Serafini.
Fra le tante pagine del libro, alcune mi hanno profondamente turbato. L’autore, infatti, ha intervistato il suo predecessore, Don Mario Rescazzi,che ha riferito di quanto avvenne a Quartesana nel maggio 1945. In breve, in una cupa notte giunse nella frazione un gruppo di persone armate che portava su un autocarro una donna prigioniera più cinque persone. Altri tre furono prelevati a Quartesana. La loro colpa? Avere avuto qualche legame con le strutture del regime fascista. Niente di rilevante, perchè se no avrebbero “tagliato la corda” per tempo. Uno di essi, poveretto, faceva il cuoco in una mensa frequentata da fascisti o presunti tali.
Mi è venuta in mente una canzone di De Gregori (“Il cuoco di Salò”) che procurò non poche critiche all’autore, accusato di aver “umanizzato” i sanguinari seguaci di Mussolini. Come se fosse possibile giudicare tutte le coscienze in blocco! La storia ha già emesso il suo verdetto, ma le storie individuali sono un altro par di maniche. A volte c’è anche chi sceglie il carro dei vincitori per motivi tutt’altro che nobili. E chi si trova coinvolto, come il cuoco di De Gregori (cantautore non certo sospettabile di simpatie filofasciste) in situazioni più grandi di lui, che non riesce neppure a decifrare.
Ma in ogni caso tutti hanno diritto a un processo, non ad una esecuzione sommaria decisa chissà da chi, magari per odio di parte o per vendetta personale. Ma torniamo al libro di Don Serafini. I nove disgraziati furono portati in via Ponte Rigo, torturati e barbaramente uccisi.
Anche la donna subì la stessa sorte. Non so quali colpe avesse, ma certo non meritava di morire così, abbattuta senza pietà come una cagna, non meritevole di un processo e neppure di una sepoltura. Chi era? Una madre? Una sposa? Nessuno lo saprà mai. Certamente avrà avuto dei genitori. Ma il peggio venne dopo. Quando fu inaugurato il monumento ai caduti (a tutti i caduti della frazione, comprese le vittime civili dei bombardamenti), nonostante l’insistenza di Don Rescazzi non ci fu verso di poter inserire nella lapide i nomi dei tre abitanti di Quartesana prelevati e uccisi in via Ponte Rigo. E così i familiari subirono due violenze : la prima materiale e la seconda morale, perché i loro congiunti furono condannati anche all’indegnità della memoria.
Ora io mi chiedo : a distanza di tanto tempo e sopiti (spero) gli odi di una stagione che speriamo irripetibile, non sarebbe giusto compiere un gesto qualsiasi, anche modesto, per rendere giustizia a quei morti, ai loro figli e ai loro nipoti?
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