Vite di carta /
I libri sono oggetti perfetti, scatole di storie
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Vite di carta. I libri sono oggetti perfetti, scatole di storie
Di mercoledì una settimana fa a Mantova è cominciato il Festivaletteratura, giunto alla ventiquattresima edizione. Ho perlustrato il programma con avidità, prima di scegliere sabato 12 settembre come mio giorno mantovano. Ne scrivo quando questo giorno è appena passato, e che giorno. Marina è venuta con me e ha fatto la scoperta del Festival; che bella atmosfera abbiamo condiviso tra uno scrittore in presenza, anzi due (Fabio Geda e Sandro Veronesi) e un collegamento web con l’immenso Noam Chomsky.
L’aria che si respira a Mantova tra il mercoledì e la domenica del Festival è sempre stata questa: un concentrato di idee, di parole, di riflessioni che riempiono la città. I tanti luoghi deputati agli eventi sono come dei catalizzatori, attorno si può sentire passando il loro effetto alone, si sentono spezzoni di idee col loro richiamo.
Poi negli spazi tra un evento e l’altro vive la città con la sua leggerezza di fine estate, tutto è animato: bar, negozi, stand di gadget e pubblicità. Dimenticavo, ristorantini e gelaterie. Convivono che è un piacere la leggerezza di chi passeggia per godersi il centro, così bello, e il magnetismo che si sprigiona dagli incontri tra intellettuali e pubblico. Magari lì a due passi, sotto un tendone o nel cortile del Castello.
Marina sentiva con me la forza, dicevamo insieme ‘la catena delle idee’ che ci passava accanto e si poteva afferrare con presa sicura. Quasi un fatto fisico. Un bel passo avanti, dopo i lunghi mesi passati, in cui abbiamo caparbiamente insegnato da casa, lei Inglese e io Italiano, ai nostri studenti diventati dei pixel su uno schermo. Senza il contatto diretto, senza vedere cosa c’è sotto il piano della scrivania, mentre parli, o mentre ascolti, o scrivi appunti. E invece.
Nell’incontro di sabato si è vista bene la giovialità di Geda dai suoi gesti rassicuranti verso Enaiatollah, che gli sedeva accanto e pareva piuttosto emozionato prima di prendere la parola. Si è vista bene la nonchalance di Veronesi, giunto al suo secondo premio Strega, che simpaticamente ha manifestato la sua soddisfazione e ha evitato di apparire tronfio, trasformandola nella metafora del gioco del tennis. Pare che ora potrà chiedere ad Adriano Panatta di giocare con lui, non mi sembra poco….
Non ho un libro particolare a cui fare riferimento, stavolta si parla di ‘libri’. Non dico ‘parlo in prima persona’, perché ne hanno discusso i relatori sopra nominati a Mantova e io mi inserisco nello spazio delle loro sollecitazioni. Si parla dunque del libro come prodotto di una intenzione e del libro come oggetto.
Geda ed Ena hanno spiegato ampiamente come mai hanno deciso di scrivere Storia di un figlio, che continua la narrazione incominciata undici anni fa con Nel mare ci sono i coccodrilli, uscito nel 2010. Un bel libro, toccante e spontaneo, che mi ha conquistata e che è piaciuto anche agli studenti che ci hanno lavorato con me; nella loro spontaneità avrebbero voluto conoscere Ena di persona. Intanto Ena voleva smettere di incontrare il pubblico, smettere di ricostruire a ogni presentazione del libro la sua odissea durata quattro anni dall’Afghanistan all’Italia; sentiva il bisogno di concentrare le forze sul proprio presente, di costruirlo con nuove energie.
Poi il passato si è ripresentato a chiedergli il conto, lo ha spinto a guardare indietro, a saldare tra loro gli anni del viaggio e quelli di oggi, a ricostruire la vita difficile che la madre e la famiglia rimasti in Afghanistan hanno condotto nello stesso lasso di tempo.
A Mantova è stato lui a chiarire al pubblico la ragione che lo ha convinto a esporsi scrivendo, ancora una volta insieme a Fabio, un secondo racconto di sé, e la ragione è che si sente responsabile verso gli altri migranti meno fortunati di lui. Ena vive in Italia con lo status di prigioniero politico da ormai dieci anni, ha finito gli studi arrivando a laurearsi, lavora e ha una compagna. E’ ancora in attesa di risposta alla sua domanda per ottenere la cittadinanza italiana. Si interessa del suo paese, vorrebbe fare attività politica utile all’Afghanistan e alla etnia hazara di cui fa parte, ha contatti regolari con la famiglia.
Nel dibattito con Domenico Quirico, che faceva da sagace moderatore dell’evento ha evidenziato una conoscenza e un coinvolgimento totali nelle cose afghane. Dunque la responsabilità e l’impegno: su questo si regge il progetto del suo racconto numero due.
Quattro ore dopo nella stessa piazza Castello l’architetto e scrittore Sandro Veronesi, incalzato da Chiara Valerio, ha parlato, sia del suo ultimo libro, Il colibrì, vincitore del Premio Strega 2020, sia dei libri in generale come oggetti. Ha toccato anche altri temi per me avvincenti, come il rapporto tra narrazione e poesia, ma ora mi pare intrigante continuare a prendere in considerazione il libro. Ne ha scritti molti Veronesi, quando è uscito ho letto Caos calmo, vincitore dello Strega nel 2006, ora ho sul comodino Il colibrì e presto comincerò a leggerlo, col viatico privilegiato delle suggestioni che ha dato l’autore a Mantova.
“Che oggetti sono i libri? Sono oggetti perfetti” ho scritto nei miei appunti. Perfetti come il mattone, che per un architetto è un elemento fondamentale: i mattoni sono rimasti uguali a se stessi nei secoli, sono solo diminuite le dimensioni. Come del resto è accaduto ai libri che dopo Gutenberg e la diffusione dei volumi a stampa si sono fatti più piccoli e ora, nell’epoca della alfabetizzazione di massa, sono diventati tascabili. I libri sono uguali a se stessi e al tempo stesso estremamente versatili: hai tra le mani un parallelepipedo, lo stesso da almeno seicento anni, ma dentro puoi trovarci una infinità di contenuti diversi, di storie diverse.
I libri funzionano sempre, basta un po’ di luce che ne permetta la lettura. Per tutti questi motivi secondo Veronesi l’avranno sempre vinta sull’eBook. In più sono belli, si toccano con piacere e, aggiungo io, profumano, vanno annusati appena usciti dal cellophane. Da ultimo, in onore di Marina dirò last but not least, arredano. E giù con l’aneddoto di quando Veronesi lavorava presso una casa editrice (mi pare) ed elargiva copie di libri molto belli, ma rimasti invenduti a una platea di giovani ingegneri che stavano mettendo su casa e dovevamo allestire gli scaffali del soggiorno.
Sul libro come arredo ho le mie esperienze. Nel mio studio i libri sono identitari e occupano un posto molto pensato, ognuno per il contenuto che ha, ma anche per le dimensioni e il colore. Sono altrettanto convinta, però, di come arredino in modi diversi le case degli altri. Veronesi mi ha fatto proprio ridere con la storiella dei giovani ingegneri, ma avrei potuto aggiungere i libri che ho visto invecchiare sugli scaffali di certe sale da pranzo, tutti ancora nel loro cellophane e di altri volumi finti, fatti di legno e vuoti dentro che ho visto a casa di qualche compaesano. Facciamoci coraggio: una cosa in comune ce l’anno tutti quanti, ed è che vanno spolverati ogni tanto.
Ma torniamo alla lettura, per dire che raccolgo volentieri la sfida: vado al Festivaletteratura di Mantova dal 1999 e faccio incetta di stimoli a conoscere un mondo di libri. Questa volta i primi da leggere saranno i due di cui ho appena parlato. Anche il lettore, che è parte attiva nel circuito comunicativo instaurato dal testo, ha un suo progetto quando apre un libro e lo mette in relazione con quello dell’autore.
Leggerò Storia di un figlio, cercando di conoscere più a fondo la famiglia di Ena, la sua etnia e il suo paese; prenderò in mano Il colibrì e dentro il parallelepipedo scoprirò le esperienze di vita di Marco Carrera, uno capace di sbattere le ali per mantenersi uguale a se stesso, e conservare la propria energia vitale ed essere resiliente. In fondo, si dice che ogni scrittore è autore di un solo libro. Anche il lettore: in fondo, ognuno di noi legge per sentire parlare dell’ universo mondo e per riferire ogni cosa a se stesso.
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Roberta Barbieri
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