Quando sono a Ferrara, faccio sempre un salto alla Biblioteca Ariostea per un aggiornamento, e il più delle volte mi fermo nella Sala periodici a leggere giornali e riviste. Questa sala ha una storia lunga e nobile, e mi piace sempre consultare la vecchia e un po’ polverosa “Nuova Antologia”. La coda degli autori che hanno scritto per la rivista è lunghissima e piena di grandi firme come Palazzeschi, Bacchelli, Ungaretti, Montanelli, Salvemini, Jemolo, Calamandrei, Bobbio, per citare solo una rosa di nomi illustrissimi. Nel numero dell’Aprile/Giugno 2004 ho trovato un bel pezzo di Claudio Magris, anche lui molto legato alla tradizione repubblicana e azionista di un’Italia che non c’è più. Il suo articolo è intitolato Giornalismo e Cultura – Una riflessione sul ruolo dell’informazione. È scritto ancora in ”epoca offline”, ma i contenuti valgono anche per i tempi d’oggi, per l’epoca digitale. Siamo, in questi anni, testimoni e collaboratori di una svolta quasi rivoluzionaria nel settore dell’informazione, ma io credo che i valori fondamentali del giornalismo abbiano resistito, nonostante una pressione fortissima sia del mondo politico sia dei mercati consumistici. Tutto è diventato molto, molto più veloce rispetto solo a qualche anno fa, ma spesso – non sempre – anche più superficiale e sfuggevole e monocolore. L’etica professionale del giornalismo, però, e il suo compito principale rispetto alla cultura odierna, in Italia come in Germania, come nell’intera Europa, vale per tutti i media, off line o on line.
E cito dall’articolo di Magris: “Se la lettura del giornale, come diceva Hegel, ha sostituito la preghiera del mattino e mette il lettore in contatto con lo spirito del Mondo e col suo operare nella storia, il giornalismo ha, oggi più che mai, un’enorme importanza e responsabilità nella formazione della cultura di un Paese.” E aggiunge, “Il quotidiano è il brogliaccio di un tentacolare e gigantesco romanzo ormai globale, che si disperde e dissolve in mille rivoli subito spariti.” Si tratta della nostalgia di un intellettuale d’altri tempi per un giornalismo che è scomparso dall’era digitale? Non credo, perché il compito o, detto in modo più grave, la necessità di un giornalismo serio, sobrio e credibile, c’era ai tempi dei nostri nonni e c’è oggi, anche se in un ambiente tecnologico molto diverso.
Per questo l’associazione Journalisten helfen Journalisten (Giornalisti aiutano giornalisti), di cui sono il coordinatore per Monaco, ha molto sostenuto la lettera di Ana Lilia Pèrez, una giornalista messicana messa sotto scorta perché fa ricerche sul mercato delle droghe e il suo nome si trova in cima alle liste nere. Per un anno ha vissuto clandestinamente in Germania, protetta e spesata da noi. Recentemente ha scritto: “L’unica cosa che desidero è il ritorno in patria, accendere il computer e cominciare a scrivere un nuovo articolo.”
A volte, la professione del giornalista è davvero molto rischiosa e pericolosa, in Germania, in Italia, nel mondo. Ci sono momenti in cui può diventare un lavoro noioso, quando si deve fare per esempio un servizio su una festa parrocchiale in provincia, o si deve andare ad una conferenza stampa di un tizio del mondo politico nel territorio desolato del delta del Po. Ma nella maggior parte dei casi, la partecipazione come giornalista (sia off line che on line) alla formazione della cultura di una città e ancora di più di un Paese, crea quel seme di speranza che contribuisce a migliorare la vita di tutti.
Di seguito, l’articolo uscito in occasione dei 20 anni dell’Associazione “JhJ” (Giornalisti aiutano giornalisti) 1993–2013
“Non sono un nazionalista, sono un giornalista” – Mladen Vuksanović (1942-1999)
In molti Paesi l’esercizio della professione giornalistica è spesso accompagnata da grossi rischi. Secondo dichiarazioni di “Reporters Sans Frontiers”, negli ultimi 15 anni sono stati uccisi oltre 800 giornalisti durante lo svolgimento del loro lavoro. In tutto il mondo molte centinaia di essi vengono arrestati e spesso torturati. Soltanto in particolarissimi casi, quelli più eclatanti, l’opinione pubblica viene informata sul destino di colleghi perseguitati, feriti, espulsi ed arrestati. Ancora più raramente si conoscono i pericoli che corrono le loro famiglie.
JhJ fu fondata nel 1993, quando la guerra nella ex-Jugoslavia fece le prime vittime. Uno dei primi fu Egon Scotland, inviato speciale della Suddeutsche Zeitung, ucciso nel 1991 in Croazia.
JhJ è un’associazione indipendente che non fa riferimento ad alcun partito politico. Ha come suo compito principale quello di offrire aiuto a colleghe e a colleghi che si trovano in situazioni di pericolo, fornendo loro e alle loro famiglie solidarietà ed aiuto concreto, in modo diretto ed informale.
JhJ interviene con aiuti in denaro, acquisto di beni ed assistenza, laddove, in caso di situazione di pericolo, non siano già intervenuti in forma ufficiale gli organismi preposti, e vi sia la possibilità di un intervento diretto.
Lo sforzo più importante di JhJ è stato sinora operato nei territori dell’ex Jugoslavia, in Bosnia, Croazia, Serbia e Kossovo. In oltre 150 casi sono stati aiutati i giornalisti e le loro famiglie, con donazioni di derrate alimentari, assistenza in caso di cure mediche, protezione e tutela dei bambini, sostegno economico-logistico per il ripristino di materiali distrutti quali computer, macchine da scrivere e attrezzature fotografiche. In molti casi JhJ ha offerto aiuto ed assistenza per il rientro in Bosnia a colleghi espulsi a seguito della guerra.
L’Associazione ha inoltre aiutato i colleghi a pubblicare i loro articoli sulla stampa di lingua tedesca.
E’ attiva una fitta rete di contatti con giornalisti provenienti da tutte le zone dell’ex-Jugoslavia. JhJ si mette volentieri a disposizione per agevolare e promuovere i contatti.
Sono pervenute anche richieste da colleghe e colleghi dell’Algeria, Turchia, Tunisia, Albania, Nigeria, Afghanistan, Namibia, Indonesia, Angola e Togo. Quando è stato possibile, gli aiuti in denaro sono andati direttamente ed informalmente ai colleghi interessati e alle loro famiglie.
JhJ collabora a stretto contatto con RSF Reporters Sans Frontiers. Sono stati inoltre instaurati contatti con il Committee to Protect Journalists (Comitato di protezione dei giornalisti) di New York, con IFEX (Toronto), Rory-Peck-Trust (Londra), con Amnesty International, così come con gli incaricati alla stampa di OCSE (Organizzazione per la sicurezza e la collaborazione in Europa).
L’azione di solidarietà di JhJ è portata attualmente avanti da oltre 130 giornalisti di Germania, Austria e Italia. Il lavoro, a puro titolo onorifico, si svolge all’interno di JhJ. Si tratta di un’ associazione di pubblica utilità senza scopo di lucro, e si finanzia esclusivamente con le quote dei soci e con donazioni (le offerte in denaro sono detraibili dalle tasse).
I riferimenti per JhJ sono:
Dr. Roman Arens (Basler Zeitung), Roma
Christiane Schlötzer (Sueddeutsche Zeitung) Istanbul
Carl Wilhelm Macke (free lance) Monaco di Baviera/Ferrara
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