I frutti antichi del Pontino, ricchi di storia, gusto e passione
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Massimo Caramori è un personaggio, un coltivatore sui generis. La sua, ci tiene a sottolinearlo, non è un’azienda agricola ma un piccolo fondo rurale. Coltiva piante da frutto antiche e insolite varietà di patate e pomodori. Prima di rilevare il fondo di famiglia a Gradizza di Copparo faceva tutt’altro: formazione artistica – Scuola d’arte, diploma di Restauro conservativo – e esperienze professionali precedenti nel ramo commerciale di varie aziende. Ma la passione per la terra ad un certo punto è riemersa, prendendo il sopravvento.
Massimo, perché dici che la tua non è un’azienda agricola quando, di fatto, produci e vendi i prodotti che coltivi?
Sulla carta sono imprenditore agricolo, certo, ma io non mi sento tale perché imprendere per me significa fare un tipo di mestiere legato a regole socio-economiche che sinceramente, per quanto riguarda la mia piccola realtà rurale, non mi appartengono. Non sono coltivatore diretto perché non ne ho i requisiti: non ho abbastanza terreno, non ho quelle colture che ti portano a fare un certo numero di giornate lavorate l’anno e che automaticamente ti danno la possibilità di diventare coltivatore diretto, e quindi anche di poter usufruire di tale posizione a livello previdenziale, di reddito, ecc. Diciamo che mi sento conduttore di un organismo rurale.
Cosa ti ha spinto, ad un certo punto, a cambiare vita e ritornare alla terra?
Siamo una famiglia di contadini, e io la terra ce l’ho nel sangue, per me lavorare in campagna è vitale, non potrei più farne a meno. Fortunatamente mia moglie e miei figli hanno condiviso la scelta, e mi aiutano quando possono.
Da qualche anno ti stai specializzando nella coltivazione di frutti antichi, come mai questa passione?
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L’idea principale che mi ha portato a coltivare i frutti antichi è stata di volerli riportare a me, riportare a me i frutti che mangiavo da bambino e che mio nonno, mio padre e i miei zii avevano coltivato per una vita, per uso familiare prima ancora che commerciale. Tutti i poderi una volta avevano il “broli” (in dialetto ferrarese), sorta di frutteto familiare che serviva per il proprio sostentamento; un giardino pieno di alberi da frutto, ce n’erano di tutti i tipi, si poteva gustare di tutto, dalla prugna alla ciliegia, fichi, pere, mele, uva, alberi da frutto che erano lì da cinquant’anni. Per un bambino come me, era come essere in paradiso. Coltivare frutti antichi per me significa riprendere da là, da dove ci eravamo fermati, perché, citando Ermanno Olmi da L’Albero degli Zoccoli, “Per andare avanti, dobbiamo fare un passo indietro” e, dicendo questo, lui dimostrava di aver già capito che la nostra civiltà sarebbe arrivata al capolinea, e che avremmo dovuto recuperare metodi e stili di vita di una volta: il biologico, la permacoltura, il biodinamico non sono altro che questo.
Non dev’essere così facile procurarsi le varietà antiche, tu a chi ti sei rivolto?
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Vero, non è facile. Dopo varie ricerche, ho rintracciato la Vivai Belfiore, un’azienda florovivaistica toscana specializzata in frutti antichi. I conduttori dell’azienda sono grandi appassionati che, tramite ricerche storiografiche e studi scientifici su quadri e affreschi rinascimentali, sono riusciti a risalire alle discendenze di molte piante, e darne origini quasi certe di antichità.
Mi dicevi che sei molto orgoglioso, in particolare, di essere riuscito a riportare in vita la “pesca della vigna”, come mai?
Tutti i peschi che ho piantato producono frutti a pasta bianca, ossia le varietà più antiche, in quanto le gialle sono subentrate storicamente dopo. Ma la “pesca della vigna”, ha una particolare rilevanza storica. E’ una varietà tipica dell’Italia centro-settentrionale che è esistita fino agli anni ’50, hanno smesso di coltivarla quando hanno cominciato a tirar via le vigne, è stata “eradicata”, per utilizzare termini tecnici, insieme alla vigna. La “pesca della vigna” si chiama così perché si maritava con gli olmi, i pioppi e, appunto, con la vite: i padroni ne mettevano qualche pianta tra i filari perché serviva a dissetare gli operai durante la vendemmia, senza doversi assentare dai campi; essendo poi spicca, questa pesca era perfetta per tale uso, non aveva bisogno di essere tagliata, si apriva in due facilmente, evitando di sgocciolare e sporcare. Si trattava in sostanza di una sorta di marketing di fine Ottocento che riprende il detto popolare che dice “il villano è furbo ma il padrone è bieco”: il padrone, attento al suo bilancio, aveva capito che offrire ai lavoranti qualche pesca era più conveniente che mandare appositamente una persona a procurare dell’acqua e distribuirla a tutti i lavoranti in una sorta di pausa collettiva, ma anche che così non gli avrebbero mangiato dell’uva che, questa sì, avrebbe costituito una fonte di reddito una volta trasformata in vino.
Oltre ai frutti antichi, da qualche tempo ti sei appassionato anche alle orticole particolari, come la patata viola e i pomodori neri. Raccontaci dove li hai trovati e perché ti interessa così tanto sperimentare nuove colture…
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Per noi ferraresi può essere una novità, ma la patata viola è una varietà salutistica molto apprezzata e conosciuta nel mondo. Proveniente dalle montagne del Perù e del Cile, e importata in Italia dai francesi, la patata viola è un prodotto alimentare che ha proprietà organolettiche straordinarie, tanto da posizionarsi addirittura sopra al mirtillo come antiossidante e per la vista, sopra alle melanzane come quantità di antocianine contenute (sostanze che combattono i radicali liberi e contrastano l’invecchiamento delle cellule, prevenendo il tumore all’intestino e al pancreas, un toccasana per l’organismo. La pianta della patata viola è molto robusta e non teme la siccità, ma produce pochissimo e i suoi tuberi sono molto piccoli. Questa pianta, quindi, non interessa al commerciante perché non produce in grande scala: una piantina di patata viola non produce 1 chilo di patate, come generalmente fanno le altre varietà, ma all’incirca 200 grammi. Ovviamente, a causa della sua bassa produttività la patata viola costa molto, il triplo/quadruplo della patata gialla.
Di pomodori, invece, di che colori ne hai?
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Ne ho di viola, neri, rossi e gialli. Sono piantine che costano molto, 3.50 euro a piantina a fronte di 0,50 il pomodoro normale. Ma io sono un amante dei pomodori e desideravo coltivarli, provarli, assaggiarli, ed effettivamente li ho trovati eccezionali, gustosissimi. Ma la cosa curiosa è che li ho acquistati a Parma, nell’azienda fondata dalla produttrice di Sex and the city! Si chiama Roberta Mell, è un’americana che nel 2009, all’apice del successo televisivo, ha lasciato gli studi della Fox e della Hbo di Hollywood e New York, per venire a coltivare pomodori in Italia. La sua azienda ora coltiva quasi 150 varietà di pomodori biologici di ogni forma e colore, provenienti da tutto il mondo, con l’obiettivo diffondere le varietà antiche tra gente che ha un piccolo orto o un piccolo terreno, come il mio, piuttosto che nelle grandi aziende. Siamo accomunati dalla medesima filosofia e siamo entrati subito in sintonia. Quando sono andato a visitare la sua azienda e le ho portato del pane ferrarese. Un bellissimo incontro.
Difficile resistere al fascino di questa storia. Contattiamo telefonicamente Roberta Mell che si dice felicissima di raccontarci dell’incontro con Massimo e dei suoi adorati pomodori.
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Ho conosciuto Massimo a maggio, mi ha contattato e poi è venuto con sua moglie a trovarmi in azienda. Il mio non è un business è una passione, e quindi sono felicissima quando incontro persone con cui condividere l’amore per i pomodori e un certo stile di vita. Io vengo da Hollywood, sono esperta di pubblicità e di marketing, ma non mi sono trasferita in Italia per fare dell’export. Quello che mi preme di più è entrare a far parte della comunità in cui vivo e contribuire allo sviluppo di una nuova cultura del gusto con le mie ricerche nel campo della coltivazione dei pomodori. Nonostante non sia un’agronoma, ormai sono una vera e propria esperta, ho clienti in tutt’Italia, e chi compra le mie piantine poi ritorna sempre. Quest’anno, per esempio, una grande azienda storica toscana, che ha sempre trattato le stesse varietà di pomodori, è venuta da me e ne ha provate di nuove: sono rimasti contentissimi e io sono molto soddisfatta per aver contribuito a unire novità e tradizione. Che poi si tratta di novità per gli italiani, nel senso che tutte le mie varietà hanno una grande tradizione, storie che risalgono anche a centinaia di anni fa, solo che si tratta di tradizioni provenienti da altri Paesi.
Ho visto sul tuo sito che hai varietà provenienti da tutto il mondo, Cina, Ucraina, Bulgaria, Usa, ecc. Come fai a procurartele, viaggi o te le fai spedire?
Entrambe le cose, viaggio molto ma mi piace anche fare degli scambi tra amici, ho un’amica che mi spedisce varietà rarissime. Io non vendo mai nuove varietà senza prima provarle, devo coltivarle per verificarne gusto e caratteristiche, e per conoscerne la storia: le varietà antiche intrecciano la storia naturale con quella dell’umanità. Ogni anno provo una decina di nuove varietà, e imparo nuove storie. Al mondo ne esistono circa 4000 varietà, ho ancora molto lavoro da fare!
Come ti è venuta l’idea di coltivare pomodori in Italia? Non ce ne sono già abbastanza di aziende che trattano questo prodotto?
Io sono un’amante dei pomodori. In California, da maggio a settembre, ci sono grandi mercati di frutta e verdura in tutti le città: la gente aspetta un anno per l’altro, per assaporare le tante varietà di pomodori presenti. Di aziende ce ne sono tante in Italia, ma trattano sempre le solite varietà. Io mi sono detta: “Possibile che in Italia, il Paese dei pomodori, non ci siano mercati di questo tipo?” E allora ho cominciato a coltivare le antiche varietà.
Pensa che in molti, all’inizio, mi avevano sconsigliato di coltivare pomodori, perché dicevano che gli italiani vogliono solo i pomodori rossi. Io non ero d’accordo, perché gli italiani sono sì amanti delle tradizioni, ma sono anche molto attenti al gusto e all’aspetto. E ho avuto ragione, pensa che qualche tempo fa è venuto a trovarmi un pizzaiolo proveniente dalla Campania che mi ha comprato uno scatolone di ciliegino nero. Mi piacerebbe entrare di più in contatto con il sud del Paese, perché i pomodori che coltivo hanno un sapore superiore e so che sarebbero molto apprezzati… ma diamo tempo al tempo, senza fretta. Sto cominciando a partecipare alle diverse fiere delle orticole in giro per l’Italia, proprio per far conoscere queste antiche varietà.
Ma ciò che amo di più è passare le giornate in campagna, lavorare all’aria aperta, guardar crescere i miei pomodori, con le head phones alle orecchie (cuffie) e il mio cane che mi scodinzola dietro. Impagabile.
Per saperne di più:
– sul “Piccolo fondo rurale Il Pontino” di Massimo Caramori visita il sito agrizero.it
– sulle “Varietà Antiche” di Roberta Mell visita il suo sito
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Sara Cambioli
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