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“Fate attenzione agli evitanti”, sale in macchina e se ne va. In riva al fiume in un tardo pomeriggio di settembre, la nostra amica ci saluta lanciando quella provocazione che, per noi quattro, suona come una parola di un’altra lingua o un neologismo che non sappiamo dove andare a pescare.
È la chiosa di alcune ore tra libri, storie inventate e storie vere che sono poi le più incredibili. Quando la nostra amica ci lascia lì, tra l’odore dell’acqua del fiume e la luce gialla del sole ancora caldo, noi quattro ci guardiamo perplessi e ripetiamo la parola evitanti, come a cercare una sagoma per definirla, un volto a cui associarla, un ex per il quale dire sì, era così.
In realtà, credo semplicemente non avessimo mai pensato di chiamare evitanti certe persone che abbiamo incontrato.
Gli evitanti sono quelli che ti accolgono, ma solo a metà o anche meno. Gli evitanti non evitano te, ma loro stessi e i conti che devono fare. L’evitante si muove nel contorno del sembrare, potrebbe essere una cosa ma anche l’altra, i suoi discorsi sono spesso indefiniti, le posizioni mai nette, i luoghi dove si trova difficili da geolocalizzare.
L’evitante fa discorsi generici e non pone domande dirette che potrebbero tornargli indietro, sta nel suo mondo da cui non si capisce dove entri e se mai uscirà. L’evitante sembra riservato e discreto, invece gli importa poco di te: evita, appunto, di farsi troppo vicino, di intersecare la sua vita con la tua, al massimo le vite possono sfiorarsi per brevi e leggere parentesi. L’evitante non rischia mai di impastarsi pericolosamente con te, non scambia nulla di sé e non ha odore. Vi è mai capitato di stupirvi per la mancanza di odore di una persona?
L’evitante ti sfianca perché tu non riesci a scontrarti, non hai da rimproverargli nulla di evidente, ma solo tue libere interpretazioni di cose mai avvenute perché, appunto, l’evitante non fa, non dice. L’evitante si sottrae alla discussione e se proprio si trova con le spalle al muro, ha già pronta la sua storia: un copione ripetuto e ormai loffio che si riduce a un “ma io sono fatto così”.
C’è poi l’evitante raffinato che prova a darti ragione perché è l’unico modo per bloccare la dialettica di una discussione, e con leggerezza si dà delle definizioni a suo parere simpatiche, anche queste automatiche, già sfoderate e ormai slabbrate. Tra le più fantasiose, mitologiche e irritanti c’è il “ma io sono un eterno Peter Pan”, detto anche con un certo tono canzonatorio che chiede di passarci sopra e buttarla in ridere.
Questi evitanti, in genere affascinanti ma sopravvalutati, dovrebbero rendersi conto di essere solo un’infantile isola che non c’è.

Quanti evitanti avete incontrato nella vostra vita? Quando vi siete accorti che non avreste mai scambiato nulla con chi si scansa da tutto?

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it