Perché non scrivi dei baci rubati?
Siamo in un posto sperduto, mangiamo baccalà e l’amalgama dei discorsi di tutti noi è denso, lavoro, figli, famiglia, persone che vanno e vengono nelle nostre vite senza chiedere permesso.
Non siamo d’accordo quasi su niente, ci provochiamo e io affronto il mio primo mezzo bicchiere di rosé.
Non afferro subito cosa intenda il mio amico per bacio rubato, penso al mio più recente, a un semaforo, mi era sembrato rubato perché di anticipo, non scontato, furtivo nel mezzo di un discorso lasciato a metà.
Il mio bacio al semaforo fu il primo di una lunga serie quella sera e nei mesi successivi, quindi non andava bene per quello che voleva dire il mio amico che intanto finiva il suo baccalà e ordinava un fritto misto.
Una notte in treno, un lungo viaggio tra due città d’Europa e nello scompartimento una ragazza. Erano giovani, entrare in confidenza non fu difficile, tra loro solo un bacio, un bacio rubato, preso e portato via per sempre, senza seguito e senza altre intenzioni. Il bacio rubato inizia e finisce senza replica poco dopo, è un unicum che non rinuncia a farsi avanti, anche se la fermata del treno sta per arrivare e uno dei due scenderà rivelando il suo nome ormai sulla porta.
Capisco meglio cosa intenda il mio amico, devo tornare indietro nel tempo, all’estate 1992, quella della canzone di Jovanotti e di un concerto allo stadio di Bologna. Fu una notte di un bacio rubato, sì. Sotto il palco, sul prato, il caso volle che io e la mia amica C. fossimo finite vicine a un gruppo di ragazzi che conoscevamo di vista.
Rivedo lo stupore complice della mia amica quando riaprii gli occhi: ora so che quello era il mio bacio rubato, imprevisto, illuminato dalle luci, avvolto dalla leggerezza di non chiedere niente, riprendere il treno di notte e ricordarlo ancora oggi.
L’avete mai vissuto un bacio rubato? Cosa ne è stato complice?
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Riccarda Dalbuoni
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