Per lei*, due caffè e qualche telefonata di lavoro non sono niente, non aprono ad approcci che vadano oltre una conoscenza circoscritta, come tante.
Per lui (sposato e di vent’anni più vecchio), due caffè e qualche telefonata di lavoro sono il preambolo per arrivare a provarci.
Lui gentile, affabile, tendente alla confidenza, lei misurata, educata e silenziosa nel lasciare scivolare certi complimenti. Lei spera che lui capisca che non c’è storia, che eleganza è sapersi fermare cogliendo i segnali.
Finchè un giorno, lui le manda una mail scrivendo “Hai un gran bel fisico, due belle gambe, sei carina e – il che non guasta – anche colta e intelligente. Certamente sei il mio tipo e fare l’amore con te è una cosa che mi piacerebbe. Ma sono anche un po’ romantico. Quindi una bella cena, corteggiarti un po’ (come un po’ già faccio, senza grandi risultati), tutto quel gioco di seduzione che per me non può mancare. Fare l’amore per il piacere di farlo. Perché è bello, semplicemente. Perché amare qualcuno (anche se solo per una notte) è coinvolgente, sconvolgente, perché dura un’ora ma poi ti resta per tutta la vita”.
Lei non risponde, vorrebbe immediatamente prendere il telefono e urlargli come ti permetti, se sono prima carina e poi intelligente, beh sappi che quel po’ di cervello che viene dopo l’essere carina, mi basta per capire che mi fai pena perchè corteggiare una donna non è definirsi romantico, la seduzione è finezza e tu non ne hai proprio, e per favore, non sprecare la parola amare perchè amare per un’ora è un ossimoro. E poi mi fai ridere perchè nella tua presunzione di arrivare a segno, ci leggo tutta la miopia di chi non vede oltre se stesso. Sai cosa mi sconvolge? Non certo l’idea di una notte, anzi un’ora, con te, ma l’aridità di ciò che esprimi, la persuasione che usi per avvicinarti a me. Hai un pensiero tanto volgare quanto solido, tutte le tue proiezioni riducono me e quelle a cui lo avrai detto, ad accompagnatrici di una sera, scatole vuote dove fare rimbombare parole a lume di candela. Ti ha messo più a nudo la banalità con cui ti sei mostrato che averti visto senza mutande. Che ridicolo che sei, se davvero mi considerassi intelligente, avresti capito che questo non è un corteggiamento, ma è provarci fingendosi un signore. E tu non lo sei.
Lei pensa tutto questo, ma non lo chiama, aspetta, certa che si farà vivo. Si chiede se qualche suo atteggiamento possa avere creato un malinteso, ma non le sembra di essere mai andata oltre la cortesia e lo scambio professionale. Non era vera quella carineria inziale, era solo un modo per poi chiederle di andare a letto. Un machismo tronfio convinto di restare impresso in una donna per tutta la vita. Ma c’è chi dice no. No a chi dichiara che non guasta un po’ di cervello dopo le gambe, a chi pensa che buttare a caso parole cambi la sostanza di un profilo davvero basso.
Passano cinque giorni e lui scrive chiedendo se è arrabbiata e che trova strano non sentirsi per così tanti giorni. Il dovere sentirsi è troppo, come se ci fosse un rapporto speciale che non tollera il distacco. Lei non li ha mai contati i giorni, però ora capisce più chiaramente il perchè di certe telefonate ricevute ‘per salutarti’. Ha anche altri amici, colleghi, compagni di scuola che sente, ma nessuno ha mai piegato il rapporto in questo modo.
Poi lui la chiama, il tono di saluto è di chi vuole fare finta di niente, come se le parole, addirittura scritte, non avessero un peso e non avessero offeso. La reazione di lei è chirurgica, glaciale e definitiva.
Balbettando qualcosa del tipo mi sarò sbagliato a scrivere perchè ho scritto di fretta, lui le chiede scusa.
Care amiche lettrici, perchè, in certi casi, si passa da un caffè alla proposta di una notte? In che modo avete detto no ridimensionando un uomo che si era spinto troppo oltre? Come vi siete sentite?
*Una storia vera raccontata a Ferraraitalia dalla protagonista, di cui ho cercato di non disperdere l’anima tra le righe.
Potete scrivere a: parliamone.rddv@gmail.com
La rubrica va in pausa per qualche giorno, le vostre lettere saranno pubblicate il 30 giugno.
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Riccarda Dalbuoni
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