“Tu cerchi l’androgino”. Marco glielo dice mentre le consegna il sacchetto di mele e sistema un ramo d’alloro sul banco delle verdure al mercato. Lei rimane sorpresa con la frutta in mano, si conoscono poco e vorrebbe la conferma di avere capito bene.
“Hai presente quando l’uomo e la donna erano una cosa sola?” le chiede.
“Tipo il Simposio di Platone?” azzarda lei che è l’unica cosa che sa sull’unità di uomo e donna.
“Quasi, ma molto prima, alle origini di tutto”. Marco sorride e le racconta di un tempo senza tempo in cui l’androgino era qualcosa di indistinto, informe e unico.
Lei ascolta e ricorda il mito platonico dell’essere completo, perfetto, separato da Zeus e destinato a cercarsi per sempre.
“Ecco, ti vedo un po’ così, alla ricerca di qualcosa, di un’unità”.
Lei non sa come Marco possa averlo intuito, si sono visti solo un paio di volte, però a pensarci è vero, quell’idea di complementarietà sfuggita la conosce. Ama il diverso da sé perché pensa che se in coppia due persone sono troppo simili, una delle due rischia di perdersi scomparendo nell’immagine riflessa nell’altro. Preferisce un punto di vista completamente differente e quindi complementare al suo, una versione delle cose che parta dal lato opposto e non da un angolo coincidente.
Mentre Marco continua a raccontare il mito dell’androgino, lei passa in rassegna quante volte, invece, ha voluto cercare se stessa nell’altra persona, naufragando in qualcosa di scontato. Quanto più il quadro di insieme sembrava ben fatto e somigliante, tanto più si sgretolava con poco, un meccanismo inceppato che tornava sempre allo stesso prevedibile punto di partenza.
Ma un’occasione c’era stata in cui si era detta siamo troppo diversi, non si può fare, ed era stata l’unica che le aveva dato l’impressione di cogliere la meraviglia che mancava, la complementarietà come nell’androgino, un cammino verso l’unità.
E voi cosa cercate nell’altro? Qualcosa di simile a voi o di sconosciuto? Che incontri vi sono capitati?
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Riccarda Dalbuoni
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