I DIALOGHI DELLA VAGINA
A DUE PIAZZE – Coppia: lo scoglio delle aspettative
Puntata di inizio mese con A due piazze, scambio fra Riccarda e l’amico Nickname: tra un uomo e una donna tertium non datur, ma quando è l’aspettativa ad accomodarsi mettendosi in mezzo?
N: Due umani si annusano, si conoscono, si piacciono, una cena romantica, finiscono a letto. Invitano a tavola il piacere. Poi passa il tempo (il tempo ha questa cosa, che passa sempre) e il piacere non è più seduto tra loro. Le aspettative, con il loro culo pesante, hanno spinto il piacere giù dalla sedia. Sono loro il nuovo invitato. Stavolta, un terzo incomodo.
R: Le aspettative, con tutto il loro ingombro, non sono mai invitate. Anzi, la premessa è sempre quella di bandirle, dire stavolta no, non entrano, prendiamo il piacere per quello che è. Ma poi non so come, c’è uno spiffero, una fenditura invisibile nella nostra pretesa di leggerezza che fa insinuare le aspettative che crescono e si autoalimentano allo stesso banchetto da cui il piacere è stato cacciato. Le aspettative arrivano a precederci, anticipano nella nostra testa ciò che vogliamo succederà e che non potrà mai essere così. Mi sembra quasi un moto naturale che si innesca in automatico come se fossimo portati a generare aspettative, come se il piacere non esistesse senza conseguenti immaginazioni. Perché?
N: Gli umani hanno coscienza del loro vivere. È la drammatica consapevolezza di sé il problema. Sono consapevoli del tempo che vola, sanno che qui e ora si consuma qualcosa di passeggero, di effimero. È anche un modo di difendersi dagli assalti della tristezza: tutto passa, anche le emozioni negative. Tuttavia prevale l’impulso al progetto, alla costruzione di una struttura. Non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che, presto, tutto questo progettare colora di insoddisfazione la nostra esistenza. Più progettiamo la vita ideale, meno ce la gustiamo. Temo sia un ineluttabile peccato.
R: Ineluttabile, ma ridimensionabile caro Nickname. Ho fatto una prova: quando un’aspettativa subdola, minima e infida, si prepara a strozzare il piacere senza lasciargli il tempo di gustarsi quel che c’è, io mi metto a fare qualcosa, una cosa in particolare: tolgo le foglie secche dalle piante di casa, le faccio respirare, le libero da ciò che non serve e le oscura inutilmente. È un’azione minima che mi pulisce la mente, ridimensiona i balzi in avanti, quelli senza paracadute.
Voi conoscete le aspettative? Fate loro posto oppure cercate di smorzarle al primo sintomo di insoddisfazione?
Scrivete a parliamone.rddv@gmail.com

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Riccarda Dalbuoni
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)