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da: Mario Zamorani Pluralismo e dissenso

Non ho mai compreso come mai due persone nate una al di qua e una al di là, fosse anche di un metro, rispetto ad una ipotetica riga tracciata per terra, o confine, vadano poi in gran parte incontro a differenti vite. Per lingua parlata, per storia (quindi identità) recente e remota, per cultura, per squadra di calcio per cui tifare, per bandiera e talvolta anche per probabilità di scegliere un credo religioso piuttosto che un altro. E tutto questo per essere nati un metro al di qua o al di là di una linea.

Oggi non si parla che di profughi, migranti e immigrati, sia pure in forme varie. Ma essere nati (per sorte o per volere divino: ognuno scelga come crede) un metro o mille metri o mille chilometri al di qua o al di là di un confine, perché dovrebbe comportare stupefacenti differenze nella speranza di vita e di qualità di vita? O nella considerazione che è giusto avere verso chiunque nasca qui o là?

Tutte le leggi del mondo non dovrebbero essere altrettanto impegnative, io credo, rispetto all’istinto e alla scelta etica e razionale di umana solidarietà nel comportamento fra individui della stessa specie Homo sapiens.

Per quanto riguarda profughi, migranti e immigrati recenti in Italia, si parla soprattutto di sbarchi di persone provenienti da paesi africani: Nigeria, Eritrea, Gambia, Guinea, Sudan, Costa d’Avorio, Somalia, Senegal, Mali. In gran parte si tratta di luoghi con guerre civili, spietate dittature o regimi autoritari, o con sacche di regolamenti di conti tribali o infestati da gruppi di assassini come Boko Haram; oppure di luoghi dove la vita è comunque a rischio, la speranza assente e la qualità di vita disastrosa. Vengono in Europa, un luogo bellissimo, in cerca di una rinascita.

Se abitassi in uno di quei luoghi sentirei come mio dovere civile e morale cercare di mettere in salvo la famiglia e di dare speranza ai miei cari e a me stesso, anche affrontando un viaggio con sofferenze certe e nel corso del quale si rischia di morire. Tutti dovremmo avere diritto ad una vita almeno decente e alla possibilità di migliorarla. E’ di queste ore la storia del piccolo Ahmed, 13 anni, arrivato da solo a Lampedusa dall’Egitto su un barcone per cercare un medico che possa curare il fratellino più grande, gravemente malato; “aiutatemi a farlo operare e a farmi lavorare per pagare le spese” ha detto appena sbarcato.

La nostra civiltà italiana e occidentale, frutto di storia e cultura classica, cristiana, illuminista, aperta e tollerante, sia laica che religiosa, ha il dovere di sentimenti e comportamenti di generosità verso costoro, si tratta di un obbligo anche verso noi stessi, da considerare anche in relazione alla fortuna di vivere (di essere nati, per caso) in luoghi dove con frequenza si soffre o persino ci si dispera per la mancanza del superfluo. Gli italiani nella loro storia si sono sempre caratterizzati come un popolo generoso ed è bene, per loro stessi, che continuino ad esserlo, emarginando i riflessi xenofobi e razzisti, pure esistenti, di persone impotenti e quindi prepotenti, tristi e incapaci di empatia, assenti di umanità, riflessi dettati da paura, debolezza e deficit di identità.

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