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Il film, diretto da Hal Ashby, era uscito nel 1971, ma molti di noi lo hanno visto negli anni novanta, quando è stato riproposto dalla televisione; io l’avevo apprezzato grazie a una segnalazione di mia madre, sempre molto attenta. Oggi dopo tanti anni, riscopro il bellissimo libro, grazie alle edizioni della Scuola di Scrittura Omero di Roma, sempre creativa, originale e innovativa. Un libro ever green che affascina tutti, e che ci insegna a volare e ad amare.
Chi di noi non è rimasto allibito di fronte alle messe in scena macabre del diciottenne Harold? E chi non è rimasto affascinato dall’ottantenne Maude e dalla sua leggerezza di vivere senza regole e costrizioni, con una filosofia tutta sua, che si può solo ammirare e invidiare? Chi non ha sorriso di fronte alle tenerezze di un’insolita coppia complice di amici, a un’affinità elettiva che in poco tempo lega profondamente due persone così diverse fino a pochi giorni prima sconosciute l’un l’altra? Pochi, sicuramente.
Eccoci allora ad osservare il giovane e ricco Harold Chasen, che alla Jaguar preferisce il carro funebre, con una passione per la morte che sublima inscenando finti suicidi. La madre ormai è abituata ai suoi scherzi macabri, al punto che ormai quasi nemmeno se ne accorge più. Come passatempo, Harold frequenta i funerali di sconosciuti e proprio a uno di questi incontra l’eccentrica e libera Maude, che a breve festeggerà il suo ottantesimo compleanno.
Candidi capelli bianchi, piccola di statura ma forte come una corteccia secolare, Maude guida qualsiasi macchina, rigorosamente senza patente, si diverte a prenderle in prestito agli sconosciuti, quando e come vuole, solo con il suo magico chiavistello che apre ogni porta. D’altronde, lei non crede alla proprietà e alle regole, così come non crede alle patenti… Lei sa, però, che le margherite, che paiono tutte uguali come i giapponesi, in realtà sono una diversa dall’altra e che ognuna è come un individuo, diversa, come diversa è ogni persona, che non è mai esistita prima e che non esisterà di nuovo. Lei sa che, quei fiori, come le persone, devono crescere insieme nello stesso campo erboso.
Maude ha un tatuaggio all’interno del braccio, DD-726350, ma Harold non le chiederà mai cos’è. Si intuisce ma non lo si dice. Mai. Un segreto immaginato, ma non svelato.
Harold e Maude piantano un albero, lo tolgono dalla città asfaltata per spostarlo e farlo respirare nella natura, ballano il valzer come due innamorati in una magnifico palazzo viennese, cenano a lume di candela, fra narghilè, lanterne e kimono asiatici, parlano, ridono, scherzano, ragionano sulla vita come una qualsiasi coppia unita da anni. C’è tanta tenerezza, in quei pomeriggi e quelle serate passati insieme, c’è complicità, amicizia, comprensione, amore. Un vero e magico momento, quello che si tiene solo per noi.
“A un sacco di gente piace essere morta, però non è morta veramente… è solo che… si tira indietro dalla vita, e invece bisogna, bisogna cercare, correre i rischi… soffrire anche magari… ma, giocare la partita con decisione!” avrebbe detto Maude. E Harold le avrebbe risposto “Io non sono mai vissuto. Sono morto, qualche volta”. Piccola grande lezione.
La vita richiede coraggio, molto, per questo va resa il più gradevole possibile, piena di buoni libri, focolari caldi e bei ricordi. Si può, infatti, sempre scavalcare il muro e andare a dormire sotto le stelle. Non costa molto. L’ignoto va scoperto e poi ci sono gli amici, l’umanità la gentilezza, per costruire ponti, sempre, e non muri. Questo ci insegna Maude.
Il finale è triste, si prende gioco di noi e degli attimi indimenticabili passati leggendo queste pagine, ma Harold ha ormai fatto sua la lezione di vita di Maude e si allontana dal precipizio ballando e suonando il banjo regalatogli dall’amata. Dopo una lacrima sulle guance, sulle labbra del lettore spunta, allora, anche un sorriso. Per sempre.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.


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