Lo spazio vitale è quello che ci consente di difenderci dagli altri. Ma quando la cultura divorzia dalla natura nulla più ci divide dalle bestie che difendono il loro territorio. Questo è accaduto a Gorino.
Cosa spinge un paese a schierarsi contro dodici donne, l’ignoranza, l’egoismo, la paura? Tutte queste risposte sono solo sintomi, manifestazioni delle cause, ma non la causa.
Noi non ci accontentiamo della cronaca dei fatti e neppure dei giudizi, vorremmo tentare di capire, non per fare della sociologia, ma per andare alla radice delle nostre condotte e di quello che siamo.
La paura dell’altro è un archetipo, come lo spazio vitale: lo space life. Quell’area di vuoto intorno a noi che non consentiamo agli altri di oltrepassare, di invadere, per tutelare la nostra sicurezza, la nostra libertà, la nostra presa di distanza dall’altro.
Gli space life individuali moltiplicati per quanti sono gli abitanti di un paese finiscono per tradurre questo sistema di autotutela individuale in una cintura sanitaria intorno al proprio paese per respingere ogni corpo estraneo. È quello che è accaduto a Gorino. I singoli space life si sono compattati tra loro per creare una invalicabile barricata contro l’arrivo dei corpi estranei: ben dodici donne!
Si è lasciato libero sfogo non al ragionamento, ma agli istinti atavici della natura, come bestie che difendono il proprio territorio.
Questo è accaduto, di naturale e disumano nello stesso tempo, perché sulla ragione ha preso il sopravvento l’istinto, sono prevalsi gli strati più profondi del cervello umano.
La causa allora è da ricercare in un alterato rapporto tra natura e cultura che sempre più si sta traducendo in una risposta patologica all’immigrazione.
Qui la natura ha tradito la cultura. La cultura, le conoscenze, l’educazione, l’apprendimento, la religione non sono stati in grado di prevalere sugli istinti, sull’irrazionale. È la sconfitta dell’uomo e della sua civilizzazione se la cultura non è più in grado di prevalere sulla natura.
Questo sta succedendo non solo a Gorino, ma in Austria, in Ungheria, in Polonia e ancora altrove.
Questa sarebbe la società della conoscenza vagheggiata dall’Unione Europea? La società dei capitali umani senza umanità? Proprio cultura e conoscenza ci tradiscono, vengono meno, cultura e conoscenza divorziano dalla natura, dalle condotte umane.
Neppure più categorie come il razzismo reggono per spiegare questo fenomeno, perché di razzismo non si tratta. Non è perché sei diverso che non ti aiuto, che ti respingo, è perché il mio territorio è mio e non si oltrepassa il confine, la linea tracciata per terra, come se fosse un gioco tra bambini. È questa regressione che spaventa molto di più di ogni razzismo, è la chiusura nella propria riserva e la visione di un mondo costruito a riserve: tutti uguali, ma ciascuno a casa propria. E neppure c’entra lo sciovinismo. Il fenomeno è del tutto nuovo.
Potremmo nominarlo come il fenomeno della chiusura a riccio, della risposta a carciofo, è il ritorno al proprio luogo, al proprio borgo, non è temere la cultura, ma quanto della tua natura, del tuo spazio vitale l’altro ti può sottrarre.
Ma se le cose stanno così non si è responsabili da soli, la responsabilità è collettiva, ben al di là delle masse che vi partecipano. Non basta prendere le distanze e denunciare. Bisogna pensare, capire cosa c’è da cambiare e darsi da fare, diversamente quello che è accaduto a Gorino, i muri che si innalzano in Ungheria sono anche responsabilità nostra. O è troppo tardi e la malattia si è già ampiamente propagata?
Non si può scoprire, ormai avanzati nel terzo millennio, che la nostra cultura occidentale, democratica e illuminista alla prova dei fatti non funziona più, che ha perso gli effetti per cui era nata, tanto da renderci barbari, stranieri tra noi.
Qui educazione e istruzione non sono più qualcosa che riguarda solo i ragazzi, ma anche e soprattutto gli adulti. Tra chi ha opposto il rifiuto alle donne migranti, in fuga dal sopruso, dalla violenza, dalle guerre, c’erano anche educatori, insegnanti, persone di cultura, gente impegnata nel sociale? O perché non sono stati in grado di opporsi, di far sentire anche la loro voce? È la prima domanda che viene da chiedersi. Se così fosse, è la cultura e la sua trasmissione che costituiscono l’emergenza dell’epoca che viviamo. La cultura è la grande questione del nostro tempo. Si è spezzato un equilibrio e quando la cultura non funziona più si preparano nuovi secoli bui.
È una responsabilità che portiamo tutti, anche le anime belle, correre subito ai ripari non è mai troppo presto.
Pare che parlare di istruzione, di apprendimento il più diffuso possibile sia un ozio che solo pochi si possono permettere, invece si tratta della vera emergenza del nostro tempo, complesso, difficile e proprio per questo quanto mai urgente più di ogni altra crisi economica.
Ecco il senso della città della conoscenza, dell’incontro tra natura e cultura, affinché crescano, si nutrano e si reggano a vicenda di fronte alle nuove e sempre più inedite sfide, se non si inizia ad abitare per davvero questa nuova dimensione a tramontare sarà ogni forma di cittadinanza vera e ciascuno sarò cittadino solo di se stesso, occupato a difendere il proprio spazio vitale, il proprio territorio, ognuno per sé contro tutti gli altri.
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Giovanni Fioravanti
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