Gli ultimi cinque minuti
Un racconto di Carlo Tassi
Scendo in cantina in cerca di conforto,
rovisto tra le cose messe da parte.
Forse troverò un po’ di miele,
un dolce rimpianto, per rivivere l’incanto.
Ma non basta… dura poco, fine del gioco!
Torno su.
Un cielo nero sopra la testa,
una strada infinita quanto il cammino.
Solo ricordi spenti.
Nessuna voglia, nessun domani,
niente.
Pensieri sfatti, corpi sfatti,
facce gonfie, occhi chiusi.
Ogni giorno un presente da dimenticare.
Monotonia, claustrofobia,
aria malata, il respiro fugge via.
Benvenute malattie!
Gli anticorpi son scaduti,
diritti e doveri decaduti.
Il vuoto s’allarga, mi sfiora tagliente, silente.
La carne è putrefatta, maleodorante.
La piaga affiora, il bruciore è ardente.
Vermi nella mente.
Giro le dita attorno la ruota,
sono dato per spacciato.
Lo so, lo sono stato e lo sarò.
Solo promesse, sempre le stesse.
Quotidiane come il pane.
Bugie, ipocrisie, false terapie.
Se rinasco, mi dispiace, non ci casco.
Questa vita m’appartiene?
E se magari vita non fosse?
S’accettano scommesse!
Esco fuori, cerco colore.
Raccolgo sassi e conto i passi.
Sfuggo al dolore ma ritrovo rancore.
La gente guarda tutto
e non vede niente.
Denti finti, cariati, turati,
sorrisi dipinti, mascherati.
L’aria è saccente, l’alito pesante.
Pioggia acida nel cervello.
Apro l’ombrello, stringo il cappio al collo.
Questo mondo non m’appartiene.
Solo avvoltoi, sciacalli e iene.
Come un salto senza rete,
niente più fame né sete.
Finisce l’inganno totale,
dalla nascita al funerale.
Poco male.
Sarà la storia che mi compete,
e mia soltanto l’eterna quiete.
Riot (Ruby Amanfu, 2019)
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