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da: Ufficio stampa Microfestival delle storie

Si conclude con due autori della casa editrice Sellerio il programma di marzo del Microfestival delle storie.
Mercoledì 24 marzo alle 18.30 il giornalista Angelo Carotenuto presenterà Le canaglie, un romanzo ambientato nella Roma degli anni Settanta dove lotte e trasformazioni si stanno imponendo nella storia del Paese. Le Canaglie è lo sguardo su una squadra di calcio, la Lazio, da parte di un fotografo di un quotidiano che sa cogliere luci e ombre della realtà e degli uomini che ha di fronte.
Mercoledì 31 marzo, alle 18.30, Pietro Leveratto presenterà Il silenzio alla fine, una storia degli anni Trenta tra l’Italia del fascismo e New York, città che accoglie e intreccia emigranti, artisti e malavitosi.

Entrambi gli autori saranno intervistati da Riccarda Dalbuoni e le presentazioni saranno trasmesse in diretta sulle pagine facebook del Microfestival delle storie e di Ferraraitalia

Angelo Carotenuto, Le canaglie, Sellerio

Le canaglie è la storia corale di un gruppo di giovani e del Paese spaccato in cui la loro vicenda prende vita. Quel gruppo è la squadra di calcio più folle che sia mai esistita in Italia, la Lazio dei maledetti, che in poco più di cinque anni, fra l’ottobre 1971 e il gennaio 1977, supera gli avversari in campo ma finisce per distruggere se stessa, passando dalla serie B allo scudetto – nella domenica in cui gli italiani votano per il divorzio – e proiettata verso un epilogo che nessuno poteva immaginare. Sono loro le canaglie, calciatori ventenni che girano armati, si lanciano con il paracadute, scatenano risse al cinema e al ristorante, fuggono dai ritiri per andare al night. Una compagnia di irregolari, le canaglie arrivano al successo facendosi la guerra, tramando, sparandosi addosso, ribaltando amicizie e legami. L’Italia degli anni di piombo, delle Brigate Rosse, degli omicidi politici, del caso Pasolini, delle battaglie per divorzio e aborto, è raccontata dalla voce di Marcello Traseticcio, fotografo di un quotidiano popolare della capitale e testimone del suo tempo, quando da paparazzo della Dolce Vita si è dovuto riciclare come reporter di nera e di sport. Attraverso di lui i ricordi si mescolano alla cronaca, il resoconto reale degli anni Settanta di Roma e dell’Italia si specchia nel desiderio di una gioventù che cercò di spezzare e di rifare il mondo.

Pietro Leveratto, Il silenzio alla fine, Sellerio

New York, primavera 1932. La città più viva del mondo agli ultimi sgoccioli del proibizionismo, l’età felice del jazz appena dietro le spalle, sotto la cappa della grande depressione. Nell’intrecciarsi di altre vite e storie, tre uomini incrociano drammaticamente le loro esistenze. Un ebreo austriaco, tormentato e sommo musicista, e un celeberrimo direttore d’orchestra italiano, antifascista in esilio, accomunati dalla musica grande. Sullo sfondo, a tramare, il terzo uomo, specie di ragno maldestro; siciliano, fascista della prima ora; sodale di Mussolini fin dagli albori socialisti e convinto perciò di essere il suo interprete più vero in mezzo ai traditori, mentre forse il duce nemmeno sa bene che esista. Uno decide di perdersi nei luoghi oscuri della grande città, e lì sfiora un amore, nelle stesse ore, in circostanze inesplicabili, un altro scompare. Sono i giorni del rapimento di baby Lindbergh e l’FBI è troppo impegnata nella ricerca per sprecare intelligenza dietro altre sparizioni. E forse manca perfino la voglia di far luce sui rapporti tra un «socialista», la criminalità italiana, e il suo governo straniero. Qualcuno conosce la verità ma, alla fine, scenderà il silenzio. Protagonista assoluto è il caso indifferente che domina le vite umane, un caso accentuato dal movimento frenetico della città che non dorme mai, in cui nessuno è di lì e per forza ognuno è buono e cattivo insieme.

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Redazione di Periscopio



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