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da: biglietteria Museo Risorgimento e Resistenza di Ferrara

Il 21 gennaio 1921 , si costituiva a Livorno, per scissione dal PSI, il Partito Comunista d’Italia, che avrebbe poi preso il nome di PCI e come tale sarebbe vissuto fino al 1991.
Ferrara costituì la prima sezione comunista a Bondeno il 30 gennaio 1921 e la Federazione provinciale il 6 febbraio 1921.
Subito, lo scontro fu con il fascismo e con lo squadrismo di Italo Balbo, il ras ferrarese che sarebbe poi divenuto Ministro dell’Aeronautica,precipitando infine dai cieli di Tobruk nel giugno 140.
Lo scontro non fu, com’è noto, soltanto ideologico e diverse centinaia di comunisti ferraresi furono aggrediti, coinvolti negli scontri,incarcerati,processati, costretti all’esilio e all’espatrio clandestino. Alcuni furono uccisi.
Il primo Segretario provinciale del Partito fu il maestro di musica Francesco Boldi e, nel periodo più cruento dell’omicidio di Giacomo Matteotti, la Federazione fu retta da una donna, Maria Parisina Bertocchi, originaria di Borgo San Luca.
Il colpo di Stato del 3 gennaio 1925 e poi le leggi speciali del 1926, che abolirono ogni libertà di associazione, di stampa, di pensiero, sancirono l’avvento del Regime, a cui nemmeno la CGIL, che nel Ferrarese aveva registrato, tra gli altri, il massacro di Natale Gaiba, riuscì a resistere, autosciogliendosi per essere poi ricostituita, in clandestinità, dai comunisti di Giuseppe Di Vittorio e dai socialisti di Bruno Buozzi, originario di Pontelagoscuro.
Sul campo, a combattere la dittatura, rimasero in pochi: anarchici, liberali radicali e repubblicani, futuri azionisti, socialisti (per il Ferrarese non si parlerà mai abbastanza della maestra Alda Costa, che fino alla sua morte costituì un punto di riferimento anche per molti non appartenenti al suo partito) e comunisti , le principali forze di opposizione, erano infatti stati ridotti al lumicino dalle persecuzioni e dagli arresti. A smuovere dolorosamente i cattolici democratici, allora aderenti al Partito popolare, fu, nel Ferrarese, l’uccisione di Don Giovanni Minzoni, anche se dalla documentazione la loro opposizione durante il ventennio appare molto flebile. Quanti continuarono a resistere furono, però, più di quanti, fin’ora si sapeva. L’opera in più volumi Vite schedate analizza il caso dei comunisti e delle comuniste che vivevano e operavano nel Ferrarese o che, nati in questa provincia, erano poi emigrati per altri luoghi, in Italia e all’estero, o per ragioni di lavoro o, da un certo punto in poi, per sfuggire alle persecuzioni fasciste. Anche nelle nuove “patrie” i comunisti si impegnarono nelle locali sezioni del partito, italiano o d’adozione, oppure mettendosi al servizio del Centro Estero del PCI, che aveva sede a Parigi, per non far mancare il loro contributo alla impari lotta contro la dittatura fascista. Allo stesso modo, comunisti nati altrove portarono il loro contributo nel Ferrarese o perché qui venuti a vivere o perché inviati da qualche organismo superiore. In qualche modo essi riuscirono, sia pure a strappi, a mantenere i rapporti non solo con gli organismi centrali del Partito che operavano in Patria e/o all’estero, ma anche con le organizzazioni comuniste internazionali, emanazione dell’URSS, come il Comintern o il Soccorso Rosso Internazionale.
Dalla ricerca intrapresa emerge che il numero di iscritti, attivisti, simpatizzanti, calcolati dai vecchi comunisti, dopo la Liberazione, in circa 2.000 per il Ferrarese, non si allontana granché dalla realtà.Sono le stesse fonti fasciste a dircelo: le schedature della polizia politica , dell’OVRA e delle Questure, i processi del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, i fascicoli del Confino Politico, gli elenchi degli ammoniti e diffidati: documenti i cui dati collimano spesso perfettamente con le memorie dei protagonisti. Tutte le fonti raccolte fin’ora sono, per scelta degli autori, depositate in copia al Museo del Risorgimento e della Resistenza, per essere messe, a conclusione del lavoro, a disposizione della città, dei suoi studiosi e dei suoi giovani.
Il terzo volume dell’opera, che raccoglie le schede biografiche di oltre 140 comunisti da Carlo Cappelli a Giuseppina Farolfi, analizza gli anni dell’ “ Impero” (1933-1936) e la difficile “linea di resistenza” costruita dagli attivisti e ricostruita ogni qualvolta veniva infranta dalla repressione fascista,che consentì il permanere dell’idea di un “altrove” in cui fosse possibile vivere in pace e libertà. “Per la pace,il pane e la libertà” è infatti il motto che,aprendosi l’avventura della guerra civile spagnola,un ardimentoso gruppetto di comunisti bondenesi adotterà nei suoi volantini clandestini autoprodotti, proprio mentre nella Russia di Stalin si apre la tragedia delle purghe e dei gulag in cui incapparono anche comunisti italiani e ferraresi. Ma questa parte della storia la racconteremo nel quarto volume.
Di tutto questo e di molto altro parlerà con la curatrice Dott. Delfina Tromboni e con gli autori la responsabile del Museo Dr.ssa Antonella Guarnieri

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