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Giorno della Memoria al Meis: le leggi razziali e lo sport

Articolo pubblicato il 24 Gennaio 2018, Scritto da Riceviamo e pubblichiamo

Tempo di lettura: 2 minuti


Da Daniela Modonesi

Le leggi razziste del 1938 hanno privato l’Italia dell’apporto dei suo ebrei in tantissimi campi della vita pubblica, compreso lo sport. Un tema purtroppo ancora molto attuale che domani, alle 21, presso il bookshop del MEIS (Via Piangipane 81, a Ferrara), sarà al centro del dialogo tra due giornalisti: Stefano Lolli del Resto del Carlino e Adam Smulevich di Pagine Ebraiche.

Lo spunto sono i libri Presidenti (Giuntina 2017, fresco vincitore dell’ottava edizione del Premio Fiuggi-Storia, nella sezione “Biografie”), che proprio Smulevich ha dedicato alla vicenda di tre ebrei alla guida di squadre di calcio italiane, poi bollati dal fascismo come ‘indesiderati’, e l’inchiesta di Matteo Marani Dallo scudetto ad Auschwitz, vita e morte dell’allenatore Arpad Weisz (Aliberti, 2007).

Presidenti accende i riflettori su Raffaele Jaffe, che regalò a Casale un incredibile scudetto alla vigilia della Grande Guerra, Giorgio Ascarelli, fondatore del Napoli, e Renato Sacerdoti, che per primo fece assaporare ai tifosi della Roma il sogno tricolore. Tre protagonisti ‘scomodi’ del nostro calcio che, tra feroci ritorsioni postume, emarginazione e deportazione, furono vittime delle leggi razziali, fino ad essere quasi del tutto dimenticati.

Il lavoro di Marani riporta, invece, alla luce, dopo oltre settant’anni di ingiusto oblio, una leggenda del pallone: Arpad Weisz. Ungherese di origine ebraica, è stato il più giovane allenatore di sempre a vincere lo scudetto in Italia (nel 1930, con l’Inter). In seguito, alla guida del Bologna, ne conquistò altri due e riuscì a imporsi sugli inglesi del Chelsea, nel 1937. Ma le leggi razziali lo attendevano al varco: Arpad fu costretto a fuggire dall’Italia e, rifugiatosi prima in Francia e quindi in Olanda, venne catturato dalle SS e terminò i suoi giorni, con moglie e figli, nel più terribile dei lager nazisti.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani