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da: Maria Cristina Nascosi Sandri

Esattamente sedici anni fa scomparivano, a poche ore di distanza l’uno dall’altro, Giorgio Bassani e Gianfranco Rossi, entrambi di religione ebraica ed uniti da un vincolo di parentela, ma, soprattutto, da un grande amore per la cultura: entrambi personalità di grande intelligenza, furono dapprima ‘Critici eccentrici’ e Saggisti ed Autori di rango poi, sia per la letteratura che per il cinema, ciascuno a proprio modo, com’è noto.
Quest’anno, per di più, ricorrono i cento anni dalla nascita di Giorgio Bassani, per cui molti sono e saranno le celebrazioni a lui finalmente rivolte, grazie, per fortuna – come direbbe Primo Levi – a molta ‘maieutica socratica’ applicata da anni, con successo come esito finale, ad una sempre facile damnatio memoriae locale e nazionale.
Così è ‘giusto’ – proprio in modus ebraico – rivolgere un pensiero più attento a Gianfranco Rossi, ’spettatore non dimenticato’ – parafrasando uno dei molti testi da lui pubblicati.
Fu docente, narratore, poeta, amante e ‘critico eccentrico’, come si diceva, giovanissimo, non ancora laureato, di cinema per le colonne del quotidiano “Gazzetta Padana”, ma anche collaboratore, tra il ’52 ed il ’57, di altre testate specializzate e non, come “Il Caffè”, “Nostro tempo”, “Cinema nuovo” e “Cinema”, la bella rivista fondata da Vittorio Mussolini con la quale aveva collaborato, agli esordi, allora come ‘solo’ critico, Michelangelo Antonioni con il suo primo “Gente del Po”, nato su carta e divenuto, in seguito, pellicola.
Molto aveva dato, dunque, alle stampe, Rossi, ma molte delle sue ‘sudate carte’ sono rimaste nei cassetti.
Nel corso del tempo – per dirla con Wim Wenders – è apparsa qualche ‘punta di iceberg’, scritti in versi o in prosa che han visto la luce, purtroppo postuma ma che, in ogni caso, manifestano la grande cultura, le tante passioni per la letteratura in genere, per il cinema, per lo spettacolo, redatti con perfetto stile e notevole capacità espressiva.
“Gianfranco usava la lingua italiana con eleganza ed essenzialità, scriveva veramente bene – ebbe a dire l’amata sorella Anna, pure scomparsa, non senza una punta di commossa ammirazione. – A volte glielo chiedevo persino: ma come fai ad essere così chiaro, qual è il segreto di quella tua scrittura così puntuale, precisa e pur così profonda?”.
Altre sue liriche inedite andarono, tempo fa, a compendiare una raccolta dal titolo omonimo di un’altra pubblicata nel 1999 grazie al compianto maestro e fine dialettologo Dino Tebaldi, “Mie care ombre”: tra esse una è dedicata alla ”Memoria di Fabrizio De André”, un’altra testimonianza dell’amore e della passione nutriti da Rossi per il mondo dello spettacolo, sentimenti che si colgono perfettamente nel testo in prosa che si rivelò un ulteriore omaggio di Rossi al cantautore genovese scomparso anni fa, righe profetiche, ancora una volta ‘lievi’ eppure profonde, pregnanti come non mai, stilate poco tempo prima della propria morte, quasi, forse, un testamento spirituale…

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