GialloFerrara, tra la nostalgia dei classici e i piccoli detective del domani
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Da Ufficio stampa Gruppo del Tasso
Il logo di GialloFerrara e il ghigno di Alexander DeLarge: venerdì sera il Korova Milk Bar ha cambiato volto. La luce calda delle candele ha accolto gli scrittori Alberto Garlini e Mario Sabatini, insieme alla giornalista Cristina Marra. L’atmosfera fumosa del pub era perfetta per un thriller: non è stato l’unico incontro del festival a suscitare grande partecipazione, attirando in città lettori da Veneto, Lombardia e dal resto dell’Emilia-Romagna per seguire gli autori e le novità editoriali in palinsesto.
«Ho pubblicato svariati romanzi di storia italiana, rivolti al contemporaneo – ha raccontato Garlini – l’ultimo parlava del terrorismo nero, ed erano pesanti. Quando hai un personaggio che ti è simpatico, allora trascorri un bel periodo, ma quando hai un personaggio “brutto”, trascorri un brutto periodo. Sono arrivato a chiedermi quale fosse il senso della mia scrittura, mi sono chiesto “perché scrivo?”. Da quando avevo dieci anni mio papà collezionava Gialli Mondadori, ma non si azzardava a cominciarli perché voleva conservarli per quando sarebbe andato in pensione. La prima sensazione di perdere il “qui e ora”, di essere dentro una storia, l’ho provata proprio tenendo in mano i gialli di mio padre. A scuola addirittura ce li scambiavamo sotto banco, in una sorta di circolo di lettura di testi proibiti». Appassionato di Sherlock Holmes e Maigret, Garlini è rimasto fedele al giallo tradizionale. Dalla finzione letteraria l’autore ha riflettuto sulla finzione virtuale, sulla potenza immaginifica dei social: «I profili Facebook sono il presidio narrativo di un ego smisurato. Non c’è un confronto reale, basta cliccare un tasto per toglierti dalla vista chi non è d’accordo con te. È un palcoscenico». A proposito di tradizione, il canovaccio che i bimbi di GialloKids hanno usato sabato mattina per la caccia al tesoro è stato adattato da un caso di Miss Marple. Ispirati da Agatha Christie, i ventitré piccoli detective hanno percorso in lungo e in largo Palazzo Paradiso, alternando la raccolta degli indizi alla soluzione degli enigmi.
La mattinata è proseguita con l’annuncio dei primi tre classificati al concorso legato all’evento, premiati nella Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea. Il concorso prevedeva la stesura di un racconto a tema libero, che contenesse un riferimento a una bevanda del colore del Festival, il giallo. «Non abbiamo riscontrato soltanto gialli classici – ha sostenuto Romano De Marco – Decine di autori hanno giocato con le contaminazioni, ad esempio con il genere noir». La giuria, presieduta da lui e composta dalla giornalista Camilla Ghedini e dallo scrittore Stefano Bonazzi, si è manifestata concorde nella scelta dei racconti da mandare a podio: terzi classificati, a pari merito, sono stati La difficile arte della chimica, di Antonio Bendini, e Calice di sangue, di Emanuele Benetti; la medaglia d’argento è andata al marchigiano Paolo Capponi, con il suo Trecento giorni; mentre al primo posto si è piazzato Daniele Monti. L’autore, classe ‘76, arriva dalla provincia bolognese, vive a Monzino e ha vinto il concorso con Trionfo col morto.
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