Ho trovato queste parole di un narratore “nostro”, terracqueo, che tracciano un parallelismo eccentrico tra lo stato di malattia e lo stato di creatività. Non ci avevo mai pensato, ma il daimon della creatività spesso rende incompreso e solo il creatore, proprio come la malattia rende incompreso e solo il malato.
“La malattia fa spesso venire una gran voglia di essere capiti. I malati all’ospedale non fanno che chiedere ai dottori di capirli. Vogliono essere capiti dalla scienza e rimessi a posto come macchine. Tutti noi malati coltiviamo questo ideale meccanico di comprensione, che ci dà qualche speranza. E gli altri naturalmente mostrano di capire la “cosa” che ci rende malati. C’è sempre un gran traffico di dicerie tra parenti e dottori, per capire la “cosa” che rende malato un malato. E i dottori la spiegano con le loro parole meccaniche, ma nessun parente e nessun malato sa di preciso di cosa parlino i dottori. Tuttavia ci scambiamo tutti occhiate e discorsi per dirci: “Hanno capito”.
La stessa situazione si trova in quelle attività che sono chiamate creative. Anche queste sono una malattia che fa venire una gran voglia di essere capiti. Si vorrebbe che gli altri capiscano la “cosa” della nostra creazione. Si vorrebbe che dicessero: “Sì, è questo, significa questo, è bello per questo”. Che soddisfazione, che stordimento e che follia, sentire di essere capiti! Come negli ospedali ci sono i dottori che spiegano la “cosa” della malattia, così in questo settore ci sono i critici che spiegano la “cosa” della creazione. E anche qui c’è un gran traffico di dicerie, per capire quale sia la “cosa” che rende una creazione interessante. E anche qui nessuno sa precisamente di cosa parlino i critici, sebbene tutti ci scambiamo occhiate e discorsi per dire: “Hanno capito”.”
Gianni Celati
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