Paolo Rossi. Come “The Smiths” in Inghilterra. Nel nome un destino anonimo, comune, grigio. Quando uno che si chiama così diventa il calciatore più famoso del mondo (nel 1982 era lui, non Maradona, l”hombre del partido”, dalla Sila alla Patagonia) vuol dire che i nomi hanno un senso. Quando uno trasforma il nome e cognome più anonimo in un brand mondiale (Paolorossi, o Pablito), e lo fa nel momento in cui è già arrugginito dagli infortuni e dall’inattività, immalinconito da un’ombra corruttiva che lo accompagna sempre, vuol dire che nel calcio esiste una componente esoterica. Il 5 luglio 1982, giorno della partita Italia – Brasile, è accaduto un fatto mistico. Paolo Rossi, su cui Bearzot, considerato da tutti un vecchio rimbambito (dopo la vittoria era ovviamente il vecchio saggio hemingwayano) insisteva con singolare cocciutaggine, giocò le prime quattro partite del Mondiale -compresa quella incredibilmente vinta contro l’Argentina – aggirandosi, diafano, per il campo come un ectoplasma. Al punto che (giuro) lo scherzo tra amici prima di Italia – Brasile, che ci faceva sbellicare dalle risate per la sua impossibilità siderale, era dire: “pensa se vinciamo 3 a 2 con tre gol di Rossi”. E giù a ridere.
Quel Brasile era la squadra più talentuosa del secolo, quindi giocò con sicumera. Paolo Rossi ebbe l’intuizione folgorante del primo gol, come se all’improvviso il suo dio fosse sceso a dargli un buffetto per svegliarlo: “ehi, guarda che spazio, infilati, è la tua ultima occasione”. Da quell’istante non smise più di segnare, spuntava come un fantasma sempre dove arrivava la palla. Sempre. Era come se dal cielo il suo dio muovesse un joystick. Se ci fossero state altre sei partite, Pablito avrebbe segnato in tutte e sei. Ne bastarono due. Lo ringrazio come quegli amici virtuali che non hai mai realmente conosciuto, ma che misteriosamente ti hanno segnato la vita.
“Hanno appena segnato un gol e provano un’allegria così perfetta che entra nel corpo, lo pervade, sembra irreale ed è, naturalmente, immeritata. Nessuno merita tanto. I goleador vivono per questa poderosa follia eppure non riescono a spiegarsela. Nessuno può riuscirci.”
Eduardo Galeano
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