Aeroporto di Roma Fiumicino. Alla partenza lascio un pezzettino di cuore, in quest’ultima pillola di dolce e serena estate romana, accompagnata da un sentimento di amore e di fedeltà. Fedeltà all’amore stesso, alla città eterna che forse un giorno mi aprirà le braccia per ospitarmi a lungo.
M’intrufolo in libreria, come sempre prima di partire. Cerco qualcosa, come al solito. Un ultimo acquisto di testi nella mia lingua, un sacchetto di carta riciclata che mi accompagnerà sull’aereo per Mosca. Sugli scaffali colmi, invitanti e colorati intravvedo, curiosa, l’ultimo testo del belga Georges Simenon, “Faubourg”.
Lo prendo, lo colgo quasi come si fa con un bel fiore, all’interno della copertina giallo-canarino cerco se Adelphi ha pubblicato pure “Betty”. Sto aspettando che esca l’omonimo di Roberto Cotroneo (che comprerò subito), ma voglio leggere l’ispirazione prima, mentre attendo. Trovo il titolo, chiedo alla cassiera, me lo porta, gentile e saltellante. Pago e ancora prima di imbarcare mi tuffo nelle prime righe delle 140 pagine che all’arrivo avrò finito di leggere (e così è stato…). Farò un viaggio nel viaggio, come sempre quando volo, come sempre quando mi muovo solo con libri, pensieri e bagagli leggeri riempiti unicamente d’idee.
Questo libro va letto con calma, attentamente, assaporato, ma non resisto. Nelle tre ore e mezzo di aereo lo divoro, pagina dopo pagina, riga dopo riga, mi tuffo nella complessa psiche femminile, nelle difficoltà e nei dubbi di essere donna che molte di noi ben conoscono. Accarezzo e apprezzo un‘introspezione del personaggio molto minuziosa, incisiva, cesellata alla perfezione. Come vorrei sapere scrivere in quel modo…
Betty, che strana creatura. Una giovane splendida e turbolenta dalla condotta arditamente scandalosa approdata sullo sgabello di un bar dei parigini Champs-Elysées, con la testa confusa e intorpidita dall’alcol. Accanto a lei, alla deriva, indomabile e indomata, siede un uomo del quale non ricorda nulla. Un uomo che, tuttavia, scompare quasi subito per lasciare a lei tutta la scena. Ombra, tante zone d’ombra s’intravvedono da subito. Calze smagliate, la sensazione di sporcizia, bicchieri di whisky, vestito costoso stropicciato e stanco, un assegno milionario in tasca, in borsetta una lettera da lei scritta e sottoscritta. M’immagino la borsetta, una sorta di piccola pochette marrone argentato a forma di cuore dal pomello rotondo di cristallo. Un clic e si apre un mondo. Uno scatto sul mondo disperato, lacerato e oscuro che la circonda. Potrei fotografarla così come la vedo e me la immagino.
Betty è una donna sola, senza sogni, bella ed elegante ma trasandata, logorata dalla vita, da se’ stessa, dalla propria insoddisfazione, da un istinto che la induce a percorrere strade proibite e detestabili, da un richiamo del vizio che le fa rifiutare la vita normale, fatta di un marito ricco, delicato, attento e perdutamente innamorato, di due figli leziosi, di una borghese e calda casa tranquilla e ben arredata, di sfumature di tenerezza. L’alcol la fa perdere nel fondo del suo bicchiere peccaminoso e costantemente alzato, regolarmente pieno, nella grigia parigina “tana degli svitati” di Mario. Nel fumo di pensieri e sogni ormai lontani e persi.
In un’atmosfera incisiva e intensa, Simenon descrive un animo ribelle e disadattato, un quadro femminile ben dipinto in cerca dell’amore e, allo stesso tempo, del suo opposto, ossia del lacerante disagio di una punizione continua, iniziata da bambina e mai cessata.
La lettura tiene sul filo del rasoio, con maestria e tensione che solo Simenon possiede. I sentimenti sono contrastanti. A volte fatico a capire questa psiche complessa, sono combattuta nel pensare se Betty sia una donna perduta o ritrovata, una vittima o un carnefice. Betty vorrebbe perdersi, cancellarsi, o magari semplicemente trovare qualcuno che si prenda cura di lei. Ed ecco un’amica, Laura, quasi una madre, che l’accoglie teneramente credendo di redimersi, ignorando, tuttavia, dove tutto questo la condurrà. Ignara della tragedia che questo incontro comporterà.
Un romanzo da leggere, che racconta l’implosione di una donna persa, l’insano vagare nel nulla e nel vuoto, alla ricerca del proprio io e magari dell’amore che qualcuno potrebbe rivolgere alla donna, a lei, a LEI perché lei, al suo vero io e alla sua vera essenza, non al suo ruolo e alla sua posizione nel mondo.
Un libro avvincente, drammatico, non facile, emotivamente intrigante, che denuda, con procedimento quasi psicanalitico, i pochi personaggi che scorrono sulla scena; un racconto che colpisce, per la sua anomala protagonista e per la sua conclusione, che fa riflettere su come e quanto, a volte, l’animo femminile possa essere torbido, complesso, intrigante, emozionante, inspiegabile e, talora, davvero del tutto imprevedibile. Perché non è sempre chiaro chi sia il vincitore e chi lo sconfitto. E sta a noi immaginarlo.
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Simonetta Sandri
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