Gaetano Tumiati (Ferrara, 6 maggio 1918 – Milano, 28 ottobre 2012) rappresentava per me il giornalismo di una volta, quando non c’erano computer, iphone e twitter. I giornalisti della sua generazione avevano bisogno solo di matita, block notes e macchina da scrivere. E poi, soprattutto un giornalista del suo tempo, doveva saper scrivere velocemente. Il suo amico Montanelli disse una volta: «Un giornalista scrive sull’acqua ed è fuggente come una farfalla». Cosa che anche Gaetano Tumiati pensava della sua professione. Dalla sua personalità e dalla sua biografia ho imparato molto su un’Italia che non c’è più. Apparteneva a un’illustre famiglia ferrarese (come si può leggere dalla lapide in via Palestro 31). Sulla morte del suo amato fratello Francesco (fucilato dai fascisti nel 1944 a Cantiano, nelle Marche) ha scritto un bellissimo libro Morire per vivere. Come giornalista, ha collaborato con L’Avanti! di Milano. Memorabile il suo reportage dalla Cina di Mao Tse Tung e dalla Corea del Nord. Poi ha lavorato come redattore-capo per L’illustrazione italiana, come inviato speciale per la Stampa, Panorama, il Corriere della Sera e il Secolo XIX. Ha scritto anche romanzi pieni dei ricordi sulla sua famiglia e la sua amata Ferrara. Il busto di gesso, il romanzo di un uomo che deve la dirittura morale della sua vita a tre busti di gesso: il primo, quello familiare, della borghesia di provincia negli anni venti; il secondo, la fede fascista, vissuta con l’inconscia adesione degli anni della giovinezza; il terzo, quello di un protagonista che trova nel socialismo il sogno di un mondo nuovo, fragile modello per una società più giusta e umana. Dalla sua ironia, gioia di vivere e sorridere si poteva imparare molto. Depressione era per lui una parola sconosciuta, le conversazioni con lui erano sempre vivacissime e piene di battute. Perché era un uomo di grande statura (e non solo nel senso dell’altezza, era alto 1,95 metri), ha avuto quasi l’obbligo di guardare in basso, ma mai in modo arrogante o snob, sempre con grande gentilezza e compassione per gli uomini piccoli. Tutto era per lui una Questione di statura (così il titolo di un divertissimo libro autobiografico). Ciò che Gaetano Tumiati disse a ringraziamento del Premio Stampa 1999 al ridotto del Teatro Comunale, vale ancora oggi: «Ferrara è diventata un punto di riferimento essenziale. Rispetto a sessant’anni fa, quando il benessere era riservato a poche famiglie, i progressi sono stati immensi. Vedo in giro tanta bella gente, una volta a stare bene era una élite. Certo, sento parlare di crisi. Ma per chi appartiene alla mia generazione è difficile vederla». Ora è sepolto alla Certosa, insieme ad altri morti della sua famiglia che conosco ormai benissimo anch’io per averli letti nel suo romanzo Il busto di gesso. Leggendo quel libro si diventa subito un figlio adottivo della famiglia Tumiati.
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