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Per frequentare la scuola bisogna essere in buona salute. Questa necessita di cura e di attenzioni specifiche. La frequenza scolastica non deve interferire con la necessità di un ragazzo o di una ragazza di dedicarsi al proprio benessere fisico e mentale, poiché la mancanza di alcune parti del programma di studio non pregiudica la preparazione complessiva e la maturazione personale. La scuola può e deve favorire la cura di sé, rassicurando e facilitando il percorso.

Bullismo, autolesionismo, problemi con il cibo, attacchi di panico, sono all’ordine del giorno anche nelle scuole Ferraresi, come riporta un articolo di Estense.com uscito recentemente. Eppure, in una chat di genitori, si diceva che insegnanti e presidi, “abituati” ai ragazzi e alle ragazze che vanno a scuola con la depressione, non giustificano l’assenza per motivi psicologici, nemmeno con il certificato del medico. Questi genitori esprimevano sconforto, amarezza e incredulità.

In Italia per la salute mentale in infanzia e adolescenza si spende un decimo di quello che si spende per gli adulti. Occorrerebbero invece più risorse, e non meno, perché questa è l’età in cui insorgono i disturbi, è possibile curarli con il massimo dei risultati e ridurre conseguentemente il numero di adulti malati e la complessità del disagio. Ad aggravare ciò, persino per gli adulti la situazione è drammatica, nonostante l’allarme per le conseguenze dell’emergenza COVID: “Salute mentale, Italia tra gli ultimi in Europa: zero investimenti e quasi mille psichiatri in meno in 2 anni,” recita il titolo del Corriere della Sera.

Negli Stati Uniti ci si è invece attivati, pur con poco: è dell’anno scorso l’articolo di Education Week che spiega perché sempre più scuole ammettono la giustificazione per assenze dovute al malessere psicologico. L’osservazione di Mike Winder, il promotore Repubblicano del provvedimento, indica come la salute mentale sia patrimonio di tutti, al pari di quella fisica: anche se non si ha un disturbo, ci sono giorni nei quali il nostro stato non è perfetto. Non consentirsi il giusto stacco per il recupero, può portare al punto di rottura e far cadere nella malattia vera e propria.
Almeno fin dallo scorso anno quindi, in vari Stati, stanno ascoltando la richiesta di aiuto dei giovani che si sentono esausti, deconcentrati e improduttivi: la risposta immediata e concreta è stata di concedere e giustificare le assenze per questi motivi. D’altronde, specifica l’articolo, il trauma dell’isolamento dalla socialità per la pandemia ha colpito duramente, facendo aumentare drammaticamente la percentuale, già prima in crescita allarmante, di ragazzi e ragazze con problemi di ansia, depressione, pensieri suicidi.

Tutti noi abbiamo assistito alla vicenda della campionessa di ginnastica Simone Biles, che si è ritirata dalla maggior parte delle gare olimpiche la scorsa estate dopo una defiance dovuta allo stress. Lo ha giustificato con la necessità di curare la propria salute mentale e per poter tutelare la propria incolumità. Questo episodio ha avuto risonanza sulla stampa americana, dove comunque ha anche sollevato critiche di mancanza di coraggio e di diserzione dai doveri e dalle difficoltà.
Nello stesso tempo, però, ha richiamato l’attenzione su tanti altri casi più o meno recenti di atleti di fama mondiale che hanno dovuto affrontare problemi dello stesso tipo, come la tennista Naomi Osaka e il nuotatore Michael Phelps.

Quando studenti o studentesse vengono colti da attacchi di panico, depressione, ansia, possono dare l’impressione di evitare la fatica, di non fare ciò che devono, di non essere meritevoli, di essere irrecuperabili. Quando il malessere non è fisico, non sembra essere invalidante, appare come una scusa per la mancanza di volontà.

Un genitore si è sentito dire che si deve andare a scuola anche con la depressione, perché tanti lo fanno normalmente. La psicologia ci insegna, invece, che è una necessità quella di provvedere a curarsi.
Non si chiede a uno studente con la febbre di andare a scuola, anzi verrebbe rimproverato se lo facesse. Questo deve valere anche per il disagio psicologico: necessita del giusto trattamento e riguardo. Per fortuna non è troppo impegnativo per l’insegnante tranquillizzare i genitori e mandare agli studenti e studentesse il messaggio che, anche se non riescono a frequentare fisicamente, la scuola è sempre il loro posto, è accanto a loro, li aspetta e garantisce le condizioni migliori per continuare il percorso scolastico.

E’ fondamentale che un ragazzo si senta compreso e non si senta colpevolizzato, anche perché di solito tenderà ad avere un forte timore del fallimento e ad attribuirsi incapacità e anormalità. Gli e le insegnanti possono quindi avere un ruolo di rispecchiamento utile per l’autostima, inviando un messaggio di normalità che proclami chiaramente che prima viene la salute, sempre.

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Daniela Cataldo

Scrivo regolarmente sul blog UnaScuolaFuoriclasse a partire dall’esperienza in prima persona, anche come insegnante. Ho riscontrato che non sempre la scuola sa orientarsi e orientare riguardo a certe problematiche, lasciando i genitori soli e incompresi. Quando insorgono difficoltà, più o meno temporanee, quali la dislessia, un disagio emotivo, un disagio psichico, il segnale principale è “andare male a scuola”. Per me, però, è la scuola che “va male” quando non si adatta alla extra-ordinarietà. Vorrei raccontare la mia esperienza sul tema, offrire ascolto a genitori e insegnanti e dare indicazioni su come e dove chiedere aiuto e informazioni. Mi piacerebbe che l’accoglienza e il supporto che i genitori, per necessità vitale, imparano a dare, giungessero ai ragazzi e alle ragazze direttamente, senza necessità di sollecitazioni, da insegnanti consapevoli e competenti che sanno osservare ed ascoltare


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