FORSE AL PACIFISMO SERVE CORAGGIO
Per non lasciare sola Kiev, fare come Marek Edelman a Sarajevo?
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Ieri ero a Montesole per la manifestazione per la pace in Ucraina, tornando ho scritto questo testo.
E’ inutile girarci intorno. Checché ne dica Putin di invasione e, ogni giorno di più, di sterminio si tratta e gli ucraini, Zelenskyj e i difensori di Kiev si sentono soli a contrastare l’attacco russo e vivono noi europei impotenti, distanti ed inermi.
E non cambiano la situazione, per quanto necessari e utili, gli aiuti umanitari ai profughi.
Non lo fanno i pur sacrosanti sforzi diplomatici che ben poco servono di fronte ad un’aggressione così feroce e determinata.
Appaiono tardive, e in questa fase, forse addirittura controproducenti le proposte di ammettere l’Ucraina nella Comunità Europea.
E’ dubbia, sul piano concreto prima ancora che morale, la fornitura di armi agli ucraini che combattono perché rischia da un lato di innescare un conflitto di dimensioni mondiali e dall’altro solo di prolungare i tempi di una resistenza destinata a soccombere inevitabilmente, innalzando il tributo di sangue e di vite militari e civili.
La domanda è dunque: si può fare altro?
Si può evitare al pacifismo il rischio di passare come il rifugio delle anime belle e di chi non vuole sporcarsi le mani?
Perché è senz’altro giusto non nascondersi limiti e colpe della Nato ma limitarsi a manifestare al sicuro nelle città europee sotto la bandiera “né con Putin né con la Nato” non impedirà che al di la del confine si continui a morire di bombe e carri armati.
Per questo credo sia importante continuare ad interrogarci e a cercare ogni strada possibile per non far sentire soli ed abbandonati a se stessi Kiev e l’Ucraina. Di fronte a drammi di questa portata umana e politica strade facili evidentemente non ce ne sono ma nondimeno forse potrebbe esserci d’aiuto concentrarci a pensare non a come portare domani l’Ucraina in Europa ma piuttosto a come l’Europa possa subito ed ora condividerne l’urto dell’invasione.
Su questa strada un suggerimento importante a me sembra possa venire al movimento pacifista dalle scelte di vita di Marek Edelman, prima eroico comandante del Bund e dei partigiani ebrei che nel 1943 guidò la rivolta del ghetto di Varsavia contro i nazisti, poi medico e leader di Solidarnosc, e infine negli anni ’90 del secolo scorso ormai più che settantenne capace di rompere l’isolamento di Sarajevo conducendo le colonne di aiuti umanitari in città.
Certo servirebbe coraggio, molto coraggio, buona logistica e molta organizzazione.
Ma cosa accadrebbe se domenica prossima entrasse a Kiev una colonna di aiuti non di militari ma di militanti per la pace, senza armi ma con viveri, coperte, medici e medicine? E con i pacifisti i sindaci di alcune grandi città europee, parlamentari italiani e di Bruxelles, Emma Bonino e Angela Merckel. E che cosa accadrebbe se una volta arrivati tutti loro, Bonino e Merkel, sindaci e parlamentari compresi, dicessero noi restiamo qui, accanto a Zelenskyj e a chi difende Kiev decisi a condividere senza armi ma fino in fondo l’assedio e la resistenza dei difensori della città?
Certo, sarebbe necessario essere disposti a rischiare un po’ la vita perché nessuno può evidentemente garantire oggi che la pazzia senile e l’autoritarismo sconfinato di Putin per questo si fermerebbero. Ma forse solo in questo modo Zelenskyj e con lui uomini, donne e bambini ucraini avrebbero qualche probabilità di più di sopravvivere. E solo così noi pacifisti italiani ed europei avremo la possibilità di lasciarli meno soli e di contribuire in modo davvero utile e forse decisivo alla loro resistenza contro l’invasore.
(Ferrara, 6 marzo 2022)
Cover: Sarajevo durante la guerra di Bosnia (Wikimedia Commons)
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Tullio MONINI
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