Gli anni passano
Gli anni passano.
Bella scoperta.
Lo specchio è inclemente, specie appena alzati. Specie se la pandemia ti ha impedito di recarti dalla parrucchiera e hai, evidente, una crescita a lingue bianche e bigie. Specie se, vecchia, lo sei davvero.
Ogni sera, lavati i denti, riposti gli occhiali, infilato il pigiama — che si potrebbe scartare, ma è così comodo — c’è la conta dei danni. Rughette in più sulla faccia — agli angoli degli occhi, della bocca, ormai anche sulle guance — una pelle lassa, certe macchioline puntiformi rosse e altre chiazze abbronzate di “lentigo senilis”. Il collo non è messo meglio, colpa della gravità che ha inferto la sua crudele legge ad altre parti del corpo, nessuna esclusa. Il mio rivestimento esterno è tutto uno stropicciamento, come di carta bagnata, appallottolata e poi stesa ad asciugare: non ritornerà mai più liscia. Il motore è quello di un’auto molto usata. È affaticato, non ha più lo sprint di prima, si surriscalda facilmente, bisogna farlo riposare, si sta esaurendo.
Non l’accetto. Non l’ho mai accettato. Guardarmi così. Assistere mentre perdo i colpi, i pezzi di me — tonicità, spirito, rapidità, lucidità, desideri, sicurezze, salute.
Quando ero giovane non ci pensavo. Se ci pensavo, mi sembrava logico invecchiare.
Ora mi sembra un affronto.
E va bene. Sono fortunata, perché l’alternativa all’invecchiamento è una eventualità peggiore.
Ma mi fa paura, invecchiare. E mi fa arrabbiare.
Perché “dentro” non sono così. Talvolta anche fuori — con la gestualità, le espressioni — non sono così. Mi sono fermata ai miei diciotto anni benedetti e quando mi vedo riflessa, non mi riconosco.
Va bene. Non lamentiamoci. Nemmeno soffermiamoci al pensiero. Tanto non cambierebbe nulla.
E mascheriamoci — di tinta capelli, di trucco, di abiti giovanili — per illudersi un altro po’, per prendersi in giro, per darsi coraggio.
Ma allora evitiamole, certe telefonate…
Evitiamo di girare il coltello nella piaga.
Evitiamo l’ennesima richiesta da parte di una centralinista gentile, straniera, di una non meglio identificata azienda di fornitura gas e luce, che ti chiede di rispondere a quattro domande “se ha tempo e non è di disturbo”, per un sondaggio nella provincia a tutte le persone con più di sessantacinque anni d’età.
— No, grazie, non ho tempo, — ho risposto. E avrei voluto precisare: non ho tempo da perdere. Non ho più tutto il mio tempo. Non ho nemmeno quel tempo. Perché nonostante le apparenze — nel qual caso mi stesse osservando attraverso il telefono — sessantacinque anni ancora non li ho.
(Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati)

Sostieni periscopio!
Carla Sautto Malfatto
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)