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Da: Organizzatori

Al Museo della Shoah di Ferrara il progetto firmato Karavan: una grande opera che celebra la famiglia raccontata da Bassani
Un muro in mattoni interrotto da una parete vetrata. Al di là un binario conduce a un altro muro, sempre in mattoni, con un varco centrale, e a un altro muro ancora, al quale è appoggiata una scala. Di fianco una bicicletta. Intorno il verde brillante di un prato e in fondo un filare d’alberi. È Il giardino che non c’è, l’opera che l’artista israeliano Dani Karavan ha pensato per uno spazio che a Ferrara si apre a fianco di Corso Ercole D’Este, subito dopo Palazzo dei Diamanti.
L’opera è ispirata al Giardino dei Finzi- Contini di Giorgio Bassani ed è un memoriale che dal romanzo traduce in immagini prima il pacato ambiente ferrarese, evocato dalla bicicletta di Micol e dalla scala usata per entrare furtivamente nel giardino, e poi la tragedia della Shoah, raffigurata nel binario che deporta ad Auschwitz l’intera famiglia Finzi-Contini.
Il progetto di Karavan è esposto in una mostra a lui dedicata al Meis (Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah), che così muove altri passi dopo l’inaugurazione nel dicembre 2017 e in attesa che ne venga completata la costruzione (ora è allestito in due edifici ristrutturati dell’ex carcere di Ferrara. Manca la parte nuova). La mostra s’inaugura mercoledì prossimo e resta aperta fino a febbraio 2019. A quest’opera l’ottantottenne Karavan pensa da anni. Da quando, in visita a Ferrara, scorse un gruppo di turisti americani che si sporgeva al di là di quel muro, in Corso Ercole D’Este, in cerca del giardino raccontato da Bassani. Ma il giardino non c’è, gli disse uno dei più cari amici dello scrittore, Paolo Ravenna, che era riuscito a salvarsi dallo sterminio in cui perì gran parte della sua famiglia. Ravenna, che è morto nel 2012, si è battuto fino alla fine per veder realizzato il progetto di Karavan. L’idea è stata raccolta dall’associazione ferrarese Italia Nostra e dal suo presidente, Andrea Malacarne (di Italia Nostra Ravenna è stato guida militante per oltre cinquant’anni). E ora si spera che la mostra dia una spinta alla sua realizzazione, cui tiene anche il Meis. Sulla parete in vetro il titolo del romanzo di Bassani comparirà tradotto in dodici lingue.
Karavan frequenta l’Italia dagli anni Cinquanta. Ha conosciuto Giorgio La Pira ed Enzo Enriques Agnoletti, Bruno Zevi e Pietro Buttitta. È amico del collezionista Giuliano Gori.
I nostri confini devono essere ulivi s’intitolava la sua installazione nel padiglione israeliano della Biennale 1976.
Le sue opere hanno un forte respiro umanitario, “contro lo spirito di questi tempi incredibili, in cui risorgono l’antisemitismo e l’antislamismo” denuncia, “e in cui anche il governo del mio paese dimentica che quello ebraico è stato uno dei primi popoli migranti della storia”. A Berlino Karavan ha realizzato un memoriale per i Sinti e i Rom, vittime anch’essi del nazismo, a Norimberga una camminata dedicata ai diritti umani, a Portbou un omaggio a Walter Benjamin. Chiude il cerchio il progetto bassaniano, che attende di veder la luce in un luogo simbolo di Ferrara intitolato, non per caso, a Paolo Ravenna.

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