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di Alessandro Oliva

Rassicurante, tranquilla, a misura d’uomo. Ma anche una bomba inesplosa o “una periferia”, cioè un luogo distante dal palpitare della vita. Ferrara, vista con gli occhi di chi studia qui, appare così, nella sua ambivalente dimensione. Sede universitaria sin dal 1391, da una quindicina d’anni si è consolidata nell’immaginario collettivo come una “città per studenti”, evidentemente attratti da un ateneo che attualmente offre ben 50 corsi di laurea. Gli iscritti si attestano, secondo dati recenti, a 17.961, il 37% dei quali rientra nella categoria dei fuori sede. Ma chi sono i “fuori sede”? Ragazzi e ragazze provenienti da altre località che risiedono più o meno stabilmente a Ferrara per motivi di studio e popolano gli appartamenti del centro storico, riempiono i bar e le biblioteche, si radunano sotto il duomo il mercoledì sera e affollano via San Romano e le enoteche di Carlo Mayr. Sono il cuore giovane della città, una spinta continua alla sua vitalità, uno spunto per rinnovarsi e modificarsi. I fuori sede sì studiano, ma soprattutto vivono Ferrara e vivacizzano la città. E’ una presenza per nulla scontata, corpi che si muovono e occhi originali che osservano.

Forse per questo loro essere fuori contesto, le impressioni che esprimono sul luogo in cui si trovano sono meno banali di quanto ci si potrebbe aspettare. E, pur nella pluralità delle voci, emergono alcuni punti di accordo.
Unanime è, per esempio, il gradimento circa l’ottimo livello di vivibilità di Ferrara, una città “tranquilla e a misura d’uomo”, come dichiara Andrea (21 anni, Medicina, di Belluno, qui da tre anni). Una qualità fondamentale che garantisce, aggiunge Zeno, (22 anni, da due in città per frequentare Medicina), la possibilità di “muoversi agevolmente” e il fatto che ci siano “strutture, dedicate a studenti e giovani in generale, abbastanza centrali e quindi facilmente raggiungibili”.

Ma la realtà è più sfaccettata e mostra anche risvolti un po’ meno positivi. La pur accogliente e paciosa Ferrara non brilla certo per senso dell’accoglienza stando ai racconti degli studenti, specie quelli provenienti dalle regioni più lontane, che da noi trovano accoglienza e integrazione quasi esclusivamente all’interno dell’ambito universitario. Restano, per questo, studenti senza sentirsi pienamente cittadini. La città, anziché essere il primo motore di inclusione e coinvolgimento, delega questo ruolo all’università, al di fuori della quale ci si sente distanti, ai margini di qualcosa di cui si vorrebbe far invece pienamente parte. Per questo Carmelo, catanese iscritto a Biologia, 23 anni dei quali gli ultimi tre trascorsi qui, definisce Ferrara come “una bomba che ha fatto cilecca”; per questo Sara (21 anni, Scienze della Comunicazione, di Lecce, qui da tre anni) dichiara che “in realtà vivere a Ferrara da studentessa fuori sede è un po’ come vivere ai margini di una città, in periferia”. Parole forti, che portano a galla quella che se non è una colpa è sicuramente una mancanza, un’ambivalenza che però ipoteca una possibile evoluzione.
Indubbiamente lo studente fuori sede si trova a Ferrara per studiare. Questo è il suo scopo primario e l’indirizzo del suo presente, che si incarna fisicamente nell’università, perno comune su cui si fondano legami, amicizie e giornate. Però è inevitabile uscire fuori dal guscio, varcare il microcosmo universitario. Nello spazio condiviso della città molti fra gli intervistati dichiarano di sentirsi se non propriamente esclusi quantomeno trascurati. E’ una carenza che ha riflessi variegati: dalla mancanza di un servizio di trasporto pubblico per il CUS, molto difficoltoso da raggiungere soprattutto d’inverno, a insufficienze sul versante comunicativo che limiterebbero la conoscenza degli eventi a quelli di ambito strettamente universitario, trascurando gli altri circuiti cittadini; infine, qualcuno addirittura lamenta atteggiamenti di totale chiusura, che portano – come sottolinea Nicolò, ventunenne bellunese che da un triennio frequenta le aule di Architettura, a considerare “gli studenti che vengono da fuori ‘un cancro’ mentre sono la vera anima di Ferrara”.
Ma il disagio evidentemente è sopportabile perché, pur in questo scenario nebbioso, l’università cresce e nel 2013 ha segnato un incremento di iscrizioni del 4,9%. Più persone che abitano tra le mura estensi, popolano il centro, fanno la spesa nei negozi e nei supermercati, frequentano i bar. “Più persone che – come afferma il ventiduenne veronese Sirio, iscritto a Medicina – si attendono che la città nel week-end offra qualche alternativa al mesto ritorno a casa”.
Per “esplodere” Ferrara dovrà accompagnare la crescita universitaria scrollandosi di dosso il suo strato di polvere. Gli studenti chiamano e attendono risposte, perché a nessuno piace stare in periferia. E tantomeno rimanere dei protagonisti mancati.

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Redazione di Periscopio


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