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da: Ferrara sotto le Stelle 2014

Proiettati verso una platea sempre più ampia da sei album sorretti da un songwriting elaborato e prezioso, i National tingono di crooning ombroso le loro trame acustiche, innervate da vividi inserti di synth e potenti progressioni ad alto tasso emotivo.
Reduci dall’enorme successo dell’ultimo bellissimo “Trouble will find me”, che è valso al quintetto anche la nomination ai Grammy Award come Best Alternative Album 2013, la band di stanza a New York guidata da Matt Berninger torna a Ferrara dopo il concerto sold-out di tre anni fa.

The National arrivano a Ferrara sull’onda di un successo in crescita esponenziale, che li ha portati in breve tempo ad uscire dalla loro nicchia di prestigio negli USA per approdare sui maggiori palchi europei.
Il fatto di giungere al successo internazionale in età matura, dopo una lunga militanza da semi-professionisti e un paio di album ”autoprodotti” all’attivo, ha giovato loro nel preservarli dalla foga del successo immediato, affrontato ora in maniera accorta e defilata, rimanendo fedeli all’evoluzione musicale che li ha portati da un canonico indie-rock a visitare i territori della new wave crepuscolare e darkeggiante e del post punk.
Le prime incisioni (The National, del 2001) per la Brassland Records dei fratelli Dessner, fondata per permettere ai 5 emigranti dall’Ohio a New York di pubblicare i loro lavori con tranquillità, denotano nell’amalgama tra le differenti qualità personali degli ottimi musicisti un impianto scarno e prevalentemente acustico, alt-country urbano che ancora non beneficia del respiro orchestrale che diverrà marchio di fabbrica della band.
Le liriche di Matt Berninger prendono da subito la strada maestra, schizzi d’intimità e l’ossessione della perdita dell’innocenza.
Già col successivo Sad Songs For Dirty Lovers (2003) è nettamente percepibile una grande maturazione sotto tutti gli aspetti. Il musicista tradizionale Padma Newsome raggiunge la band, portando in dote lo spessore e l’originalità dei suoi arrangiamenti neo-classici e minimalisti, mentre il lavoro dell’ingegnere del suono Peter Katis inizia a rendere concreto il paragone con band come gli Interpol, favorito anche dal tono baritonale del cantato. L’ approccio al post-punk melodico segna l’esplosione della sezione ritmica e una scrittura più raffinata e personale, soffusa e malinconica.
Il culto cresce, e non si può rimandare l’occasione di passare a “fare sul serio”, firmando con la Beggars Banquet, grande realtà discografica alternativa, e intavolando il primo tour da headliner. Alligator (2005) non tradisce le attese e getta le basi di quella che sarà la definitiva consacrazione. Il country è alle spalle, il baricentro vira verso la pop-wave e i testi spostano l’attenzione dallo sbandamento privato a quello pubblico e comune di un’intera nazione. Il loro nome comincia ad essere associato alle campagne elettorali democratiche, da ultima la prima, vittoriosa, di Barack Obama, che sceglie spesso come colonna sonora dei suoi meeting “Fake Empire”, brano di punta del successivo e apice creativo della band, Boxer.
È il 2007 quando i National raggiungono la vera notorietà: la nicchia è superata e fioccano i riscontri ad alto livello mediatico ed esibizioni dal vivo anche in Europa. La neo-wave dark e il minimalismo collimano fino ad avvicinare la band al sacro fuoco dei Joy Division, il suono si fa decisamente urbano, elettrico, le atmosfere cupe, nervose e oppressive. I brani si dividono tra pop orchestrale avvolgente e ritmiche taglienti e carezzevoli.
Il successivo High Violet (2010) non si discosta da questo standard, aggiungendovi accompagnamenti ariosi e stratificati e progressioni solenni, quasi epiche, permettendo alle chitarre di rimanere nell’ombra. Contrappunti in sottofondo e momenti di coralità pop-folk, che sono eco della frequentazione in fase compositiva di Sufjan Stevens, e il ritorno a pezzi lenti e semi acustici vibranti.
Infine, il recente Trouble Will Find Me è forse l’episodio più complesso e ricercato dei National, un’unione di estremi tra brani dalle incalzanti ritmiche di batteria – mai in passato così veloci e ipnotiche – e altri in cui vengono meno le classiche orchestrazioni in favore di synth e drum machine delicate e quasi impercettibili.
Impressionante la lista e la qualità degli ospiti, da Richard Lee Parry degli Arcade Fire a St. Vincent.
In definitiva, un lavoro che ha consacrato definitivamente la band come una delle formazioni rock più importanti ed influenti del panorama contemporaneo.

In apertura SAN FERMIN, una band che si sta rapidamente imponendo e che, con l’album d’esordio, ha già scosso la scena alt-folk indipendente. L’ottetto di Brooklyn guidato dal compositore e cantautore Ellis Ludwig-Leone, studioso di musica classica a Yale e assistente di Nico Muhly, riecheggia e rielabora con originalità le suggestioni della migliore musica indie degli ultimi anni, da Sufjan Stevens a Bon Iver, dai Dirty Projectors agli stessi National.

THE NATIONAL + SAN FERMIN
Piazza Castello – Ferrara
Martedì 22 luglio – ore 20.30
Ingresso: 30 euro
Info: 0532-241419
Ulteriori informazioni sono reperibili presso il sito web della rassegna: www.ferrarasottolestelle.it

Risorse in rete:
www.americanmary.com
http://www.sanferminband.com/

Il Festival è organizzato dall’Associazione “Ferrara sotto le Stelle” con il sostegno del Comune di Ferrara, dell’Amministrazione Provinciale di Ferrara e della Regione Emilia-Romagna.

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