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Escono dalla storia e arrivano qui, sui ciottoli delle strade di Ferrara. Sono la famiglia Pesaro, cioè i discendenti di Silvio Magrini. Una famiglia ferrarese che, la storia, ha contribuito a farla. Nel senso che l’ha vissuta in prima linea e che ne lascia una lunga, composita traccia letteraria.

Durante la Festa del libro ebraico, a Ferrara nei giorni scorsi, la presentazione del libro che il loro antenato scrive per mettere insieme le vicende degli ebrei ferraresi. La narrazione della sua “Storia degli ebrei di Ferrara” parte dalle origini e arriva fino al 1943. Il testo si ferma lì, perché il 15 novembre di quell’anno, l’autore – che è il presidente della Comunità ebraica cittadina – viene arrestato, mentre si trova in un letto dell’ospedale Sant’Anna. Internato nel campo di Fossoli, in provincia di Modena, è deportato ad Auschwitz il 26 febbraio 1944 e, al momento del suo arrivo nel campo, viene ucciso.

A raccontare come è arrivato a pubblicare le pagine scritte da suo nonno più di settant’anni fa, è Andrea Pesaro, classe 1937, presidente della Comunità ebraica ferrarese dalla fine di questo gennaio 2015. Andrea racconta: “Ho ritrovato gli originali di questo libro nel corso di un trasloco interno di casa Magrini. Sono fogli di carta sottile, dattiloscritti e chiusi in tre cartelle di cartone, sui quali mio nonno Silvio Magrini racconta la storia della Comunità ebraica di Ferrara. Ho trovato quelle pagine, tenute insieme da fermagli metallici, fittamente annotate e corrette con una scrittura minutissima a penna e matita. Lì il racconto storico di Ferrara parte dalle origini e arriva fino al luglio 1943, quando sale al potere il generale Badoglio”.

Il nipote sottolinea l’alternanza nelle pagine di un tono serio e dottorale, da uomo accademico, con l’umorismo lieve e coinvolgente di racconti e aneddoti. “Una scrittura – dice – che non è da storico, ma da appassionato e, alla fine, da testimone di quei fatti tragici che accadono accanto a lui”.

Silvio Magrini nel libro non parla di sé e, la sua biografia, la riassume il nipote Andrea, che all’epoca della cattura e del tragico epilogo ha solo sei anni. Ma quei fatti, lui, li ha ben impressi nella mente, grazie alle lunghe chiacchierate con cui sua madre, sera dopo sera, gli racconta dettagli, memorie, emozioni. Nato nel 1881 in una casa del ghetto, nel 1883 Magrini si sposta con la famiglia nella casa che ancora custodisce i suoi scritti, in via Borgo dei leoni. Si laurea in fisica all’università di Bologna, dove diventa assistente di Augusto Righi. Sposa Albertina Bassani e, alla fine degli anni Venti, aderisce al sionismo. Nel 1930 diventa il presidente della Comunità ebraica di Ferrara e continua a ricoprire la carica anche negli anni delle persecuzioni e delle leggi razziali, fino al giorno della sua deportazione.

La storia della famiglia torna alla ribalta, in anni abbastanza recenti, quando viene fuori che a loro si ispira in buona parte Giorgio Bassani per scrivere il romanzo “Il giardino dei Finzi-Contini”. Un collegamento che, però, crea dispiacere alla famiglia, che ancora si rattrista pensando a questi riferimenti. Lo spiega Silvia Pesaro, classe 1947, sorella di Andrea e la più giovane dei nipoti di Silvio Magrini, di cui porta la memoria nel suo stesso nome. “Sì – commenta Silvia – quel ritratto romanzesco non ci appartiene e abbiamo vissuto con dolore l’utilizzo di tanta parte della nostra vita familiare in un contesto come quello. Tante cose di casa, troppe, sono state usate”. Ecco allora la storia della casata che ha come riferimento più anziano il “professore” dedito agli “studi di agraria, fisica e storia delle comunità israelitiche d’Italia”, che Bassani chiama Ermanno, e da cui parte per tracciare un albero genealogico per molti aspetti ricalcato su quello dei Finzi-Magrini. Il capostipite della casata dei Finzi-Contini viene descritto come figlio di Mosè  e Josette Artom (e i genitori di Silvio sono Mosè Magrini e Fausta Artom) e padre, oltre che di Micol, di Alberto, che sembra parafrasare il nome reale di Umberto, il figlio in carne e ossa di Silvio. “Non è stato invece ispirato a nessuno dellla famiglia – fa notare con sollievo Silvia Pesaro – il personaggio di Micol, perché per lei Bassani stesso ha sempre dichiarato di avere preso come riferimento una o più donne, che comunque erano estranee al nucleo familiare”. Persino il nome del cane, Jor, passa dalla casa vera di via Borgo dei leoni a quella – immaginaria – dell’opera ambientata a Ferrara. Ma non troverebbero lì, nelle loro stanze e nel loro bel giardino, quelle memorie che ancora portano in città così tante persone alla ricerca del favoloso giardino. Perché quello di Bassani è, appunto, un romanzo.

La storia la racconta questo libro appena pubblicato: “Storia degli ebrei di Ferrara, dalle origini al 1943” di Silvio Magrini, a cura di Andrea Pesaro, edito da Salomone Belforte di Livorno, 363 pagine, 20 euro.

 

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Famiglia Pesaro, già Magrini, in tre generazioni (foto Giorgia Mazzotti)
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Famiglia Pesaro, già Magrini, in tre generazioni (foto Giorgia Mazzotti)
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Famiglia Pesaro, già Magrini, in tre generazioni (foto Giorgia Mazzotti)

Le foto scattate nel chiostro di San Paolo, a Ferrara, mostrano tre generazioni della famiglia (già Finzi)-Magrini-Pesaro. Da sinistra: il piccolo Ben sulle spalle del papà Davide e accanto alla mamma Ester, figlia di Silvia Pesaro; poi Alessandro,figlio 10enne di Laura e nipotino di Andrea Pesaro, accanto alla zia Renata Pesaro (in bluette). Dietro sono Francesca con il marito Daniele – che è il figlio di Renata – e, accanto, Andrea Pesaro con la figlia Laura. Seguono Silvia Pesaro, che porta il nome del nonno, con il cane Twiggy; la secondogenita di Silvia, Michelle; l’altra figlia di Andrea, Giulia.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, MN 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, BO 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici UniFe, Mimesis, MI 2017). Ha curato mostra e catalogo “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”.


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