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Il ferrarese Patrizio Bianchi, da oggi ministro dell’Istruzioneè conosciuto dalla grande parte dei lavoratori (più anziani) del Petrolchimico di Ferrara n quanto, fin dagli anni della sua formazione scolastica (laureato in Scienze politiche all’Università di Bologna, economista), ha avuto, come ricercatore, un rapporto molto stretto con il mondo dell’industria ferrarese, per le problematiche del settore industriale e la formazione.

In tale periodo è cresciuto insieme ai ricercatori del CDS, in gran parte tecnici e ricercatori  del Petrolchimico e ad altri colleghi studenti, con i quali ha affrontato i grandi temi della politica industriale e della sua trasformazione. Al di là dei suoi successivi impegni professionali e istituzionali Patrizio Bianchi ha mantenuto sempre i rapporti con il CDS, presentando quasi ogni anno l’Annuario socioeconomico ferrarese, la presenza più recente è del 2019, mentre la pandemia ha impedito la sua partecipazione (in video) esattamente un anno fa, alla presentazione del libro Ferrara e il suo Petrolchimico, volume secondo. Riportiamo di seguito, la presentazione del libro, realizzata da Patrizio Bianchi nel mese di febbraio dell 2020. Blog Voci del Petrolchimico

di Patrizio Bianchi

Dopo tredici anni esce il secondo volume sul Petrolchimico di Ferrara, un volume che riunisce ancora una volta oltre cento autori, che propongono analisi, riflessioni e memorie su un impianto che costituisce un pilastro dell’industria europea e nel contempo un architrave della vita di un intero territorio. La memoria storica è un bene pubblico, come scrive giustamente la Presidente del Cds, Cinzia Bracci, e come tale va preservato, ma proprio la memoria è un fiore che deperisce in fretta, lasciando segni incerti nella smagliatura del ricordo. Per questo bisogna investire sulla memoria perché questa diventi storia.
Questo è ciò che ha realizzato il Cds in questi anni, il Cds ha costruito memoria, attraverso un lavoro dettagliatissimo di analisi della realtà locale, estraendone una sostanza che va aldilà della condizione specifica che l’ha originata.
Sono quarantasette anni che il Cds opera a Ferrara, tanto da essere esso stesso un pezzo di memoria collettiva della Città. Nei primi anni settanta un gruppo di tecnici del Petrolchimico ed un ristretto numero di studenti dettero vita ad una esperienza di ricerca e documentazione sindacale che vista oggi aveva caratteri pionieristici di una presenza sul territorio, in cui una “fabbrica” usciva dai suoi muri e diveniva cultura di tutta una Città.Il Cds testimoniò una fase della società italiana in cui il lavoro tornava ad essere centrale, sfuggendo tuttavia ad una tendenza ad un “operaismo” che inchiodava i lavoratori ad un fordismo che già allora volgeva al termine. In questo la posizione del Cds si fondava sulla esperienza di una “fabbrica” molto diversa da quella metalmeccanica – la Mirafiori di Torino – su cui si erano disegnati per anni le regole sindacali italiane e su cui si plasmava anche una lotta operaia che rimaneva comunque dentro la logica della catena di montaggio.
Il Petrolchimico sperimentava già allora una impresa che fondava la sua competitività sulla ricerca, anzi la fase trasformativa si riduceva ad una struttura aperta e multifunzionale che generava prodotti le cui caratteristiche venivano definite ex ante nella fase di ricerca.
La chimica dei catalizzatori – la cui evoluzione è descritta in questo volume nel capitolo di Nello Pasquini – anticipa quindi quasi cinquanta anni fa quel processo di produzione mirata che oggi chiamiamo Industria 4.0. Come tale la lotta sindacale al Petrolchimico non si attardava a rincorrere il mito dell’“operaio-massa” ma apriva la strada ad una azione sindacale imperniata sui tecnici e che vedeva nella salvaguardia del Centro Ricerche il suo punto di riferimento.
In quegli anni venne portata avanti una riflessione profonda sulla responsabilità del team di lavoro, che era straordinariamente più avanti della cultura sindacale del tempo.
Così come molto più avanti del suo tempo era l’esperimento di penetrazione nel territorio con “fabbrica, scuola, quartiere” in cui i tecnici di fabbrica agivano nel quartiere del Barco-Pontelagoscuro, per ricostruire una cultura del territorio in cui la “memoria deportata” dei tanti lavoratori di miniere chiuse, che dalle Marche erano stati trasferiti nel “quartiere di servizio” del Petrolchimico, potesse ritrovare una identità perduta.
Egualmente avanti era l’attività che il Cds ed i suoi tecnici di una fabbrica tecnologicamente avanzata fece con i sindacati dei braccianti nella vertenza con la società Bonifiche terreni ferraresi, latifondista della Bassa, che storicamente apriva i contratti del settore agricolo.

Il Petrolchimico, di cui si raccolgono qui analisi e testimonianze, è stato del resto specchio e misura della trasformazione del sistema industriale italiano. Dalla vecchia Montecatini, che nel grande mare della conglomerata, che riuniva dalle miniere ai fertilizzanti, coltivava la punta più avanzata della ricerca industriale italiana, fino alla fusione con la Edison, che dalla nazionalizzazione della energia elettrica aveva tratto una liquidità tanto ingente da portarla alla dissipazione.
Dalla “fusione del secolo” con l’Eni, orfana di Mattei ed incrocio di competenze uniche e di misteri altrettanto unici, giù giù fino alla tragica cometa di Gardini, che raggiunto il cielo della finanza mondiale scomparve in una notte buia come la storia italiana di quegli anni, fino alle multinazionali che si susseguirono nel controllo di quella fabbrica che aveva nel Centro di Ricerche il suo cuore pulsante, anglo-olandesi, tedeschi, americani, tutti che venivano pensando di insegnare e che invece imparavano in quel centro ricerche cosa fosse la nuova industria.
E d’altra parte, diciamocelo, la Città non ha mai amato, o semplicemente capito una “fabbrica” che non stava dentro la stilizzazione che in quel tempo ed anche in tempi più recenti si faceva dei rapporti di lavoro o più semplicemente dell’industria.
In realtà il Petrolchimico era la “fabbrica di là dal canale” e ciò che veniva al di dentro manteneva un carattere misterioso che non si traduceva in pezzi di ferro, così facilmente leggibili sia dalla politica cittadina che dallo stesso sindacato confederale.
L’origine del Cds affonda quindi nel bisogno di “fare cultura industriale” in un paese ed in una città che rimanevano, nonostante miracoli economici e crisi finanziarie, profondamente contadini.
Questo bisogno di “fare cultura di produzione” è rimasto sempre nel DNA del Cds ed ancora oggi che ci avviciniamo ai 50 anni di questa longeva ed ancora innovativa istituzione troviamo un Cds capace di fare cultura, fondando la propria azione sulla evidenza che approfondendo una realtà locale si possa individuare le linee evolutiva di una realtà nazionale ed europea molto più ampia.
La realtà locale viene esplorata come poche altre in Europa attraverso quello strumento unico che sono gli Annuari – vero momento in cui una comunità si auto-analizza fino a scarnificarsi – ma anche attraverso le molteplici attività culturali, che scoprono realtà economiche a noi stessi sconosciute a sottovalutate.
In una fase come quella attuale, che ha eretto la banalità a modo di governo e l’ignoranza a competenza distintiva, l’esempio del Cds che ha attraversato questi decenni con la determinazione del “fare cultura” sembra fuori luogo, ma è qui in queste pagine, in questo modo onesto ed appassionato di partecipare al bene collettivo che si ritrova un percorso di speranza futura per tutti noi.

Per visitare il blog del CDS Cultura Voci del petrolchimico clicca [Qui]

In copertina: Il petrolchimico di Ferrara (foto di Aldo Gessi)

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