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A fronte dell’esplosione turistica che investe Ferrara e ne esalta la bellezza e la cultura, rendendola amatissima dai turisti che sempre più numerosi accorrono e la percorrono naso all’aria, ci sono una città e un territorio che mostrano invece un aspetto ferrigno, ostile, pericoloso, disamabile. E questo aspetto riempie le pagine dei giornali locali e non: la vicenda di Igor, il feto nel frigo, gli ammazzamenti tra coniugi e tra figli e padri, il quartiere Gad, la lotta spietata politico-sociale che dal Delta e dalle spiagge inonda Ferrara, sempre più ‘Ferara’ fino a coinvolgere quella stessa cultura che dovrebbe essere il fiore all’occhiello di una città patrimonio dell’Umanità. Così la lotta, spesso troppo acrimoniosa, si sposta tra le associazioni culturali e tra queste e le amministrazioni, fino a dar luogo a veri e propri colossali fraintendimenti che in nome di una pretesa e falsa ‘ferraresità’ s’indignano e si pongono l’un contro l’altro armati, pur di far prevalere punti di vista parziali e spesso dannosi. Le tricoteuses e i loro omonimi maschi condannano, s’entusiasmano al pollice verso, conducono battaglie il cui fallimento già s’impone dal principio, perché non si ha esatta visione dei fatti, a loro volta non chiaramente esposti da chi ne deve essere amministratore e responsabile.
Insomma, non un bell’esempio di città felice.

Giunto alla rispettabile soglia di una maturità protratta fino all’imminente passaggio alla vecchiaia mi prodigo – forse invano – per permettere alle generazioni future d’avere uno spazio di manovra che le renda almeno consapevoli dei problemi che nel campo culturale sono ineludibili. Servirà?
Comincio ad avere seri dubbi. Qualche anno fa un amico caro, giornalista di vaglia, Carl Macke scrisse un articolo dal titolo assai invogliante pubblicato proprio qui su Ferraraitalia: ‘Ferrara, una città che si sa narrare’, era il giugno 2014. [leggi qui]
Concludeva Carl: “Tutte le guide turistiche elogiano, a ragione, il patrimonio artistico di Ferrara, ma la città conserva anche un patrimonio di storia e di cultura di cui le guide turistiche non fanno menzione, un patrimonio che ci consente una lettura della città che altre, seppure con una qualità della vita forse migliore, hanno perso per sempre. “Il problema culturale delle città moderne”, scrive il sociologo urbano americano Richard Sennett, “è quello di riuscire a far parlare un ambiente anonimo, di fare uscire le città dalla loro degradazione e dalla loro neutralità”. Questo problema, per Ferrara, non si pone. Forse deve solo imparare a riscoprire e valorizzare un elemento importante della sua qualità di vita: la propria capacità di narrare”.

A tre anni di distanza purtroppo l’utopia qui espressa sembra non avere la forza di avverarsi. Quel che mi sembra evidente è che se anche abbiamo conquistato la possibilità di narrarci, ci narriamo male. Anzi. Ne abbiamo perse le capacità. E’ vero poi che questo declino, o meglio questa nuova possibilità di affrontare la Storia che inficia il valore del ricordo, motore primo per la narrazione, va di pari passo con scelte non solo motivate, ma imposte, non solo nella nostra città ma nel mondo.
Allora… Perché devo misurare la capacità di offerte narrative partendo dal trionfo spallino? Perché devo affrontare i grandi problemi della città nel campo culturale dibattendomi ancora entro l’incognita del trasferimento della Pinacoteca in Castello? Perché devo sottovalutare il problema delle biblioteche di fronte alla difficile situazione venutasi a creare all’Ariostea, quando ancora non si sa se verrà prorogato l’attuale bravissimo direttore o verrà fatto un bando ad hoc? Perché devo stare con il cuore sospeso per la situazione di Casa Minerbi invasa da acque e da spore che filtrano dal sottosuolo proprio nella bella stanza adibita al cosiddetto salotto Bassani?
Certo la mia città giustamente esibisce grandi risultati (uno per tutti la soluzione del tremendo problema del palazzo degli Specchi), ma quest’aria di contesa che impedisce una rispettosa coincidenza d’interesse pubblico e privato non fa bene alla città estense e al suo territorio.
Cominciamo, se possibile, come già da tempo auspicava Macke, a riscoprire la nostra capacità di narrare.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it