Ferrara, anno IV Dopo Naomo. Invece di lamentarci per le luci, prepariamo le nostre.
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Ferrara (Fràra) è un posto unico.
La nebbia che la avvolge da millenni rende incerta la sua localizzazione, ne sfoca i contorni, ne sospende il tempo, modella il carattere delle persone. Fino a qui, nulla di originale. Gianni Celati, Giorgio De Chirico, Roberto Pazzi, Giorgio Bassani, Michelangelo Antonioni… ecco, Antonioni. Dicevo: modella il carattere delle persone. Non che i ferraresi siano tutti uguali, ma esiste una vena comune, ombrosa, lombrosiana verrebbe da dire. E quando un ferrarese la trasforma in uno spleen internazionale, il risultato è … Antonioni.
Quando altrove nello stivale splende il sole, a Ferrara l’abitante vaga avvolto in una coltre di nebbia, come un criceto nell’ovatta. La conformazione del territorio conserva nel cuneo una nube umida che si fa galaverna o stofaga a seconda della stagione. C’è chi si lamenta perchè Ferrara addobbata dalle luminarie riduce le persone a ombre, ma le persone a Ferrara sono ombre, e nell’ombra agiscono i segreti, che le luminarie nascondono solo meglio; come le luci che addobbano l’albero, sotto le quali le palline più preziose restano celate, rinvenibili solo al cercatore raffinato.
Ferrara è la città più segreta, la città nella quale l’inconfessabile viaggia di bocca in bocca senza essere detto, come il segreto del dottor Fadigati ne “Gli occhiali d’oro”. Una città neoromantica, come il balconcino d’angolo che ingentilisce la struttura a corazza del Palazzo dei Diamanti e fa l’effetto della sciarpetta rossa sul vestito a bugne di John Taylor nel video di Wild Boys:
Una città paese, dove l’urbe imperiosa del Castello sfocia dritta con veloce stupore nella piena campagna attraverso l’arteria di corso Ercole d’Este. Quindi anche una città rustica, grezza: solo un indigeno può comprendere l’ intima coerenza di un personaggio come il vicesindaco, la cui ascesa è incomprensibile vista da ogni prospettiva esterna, ed infatti viene studiata da fuori come un bizzarro fenomeno etnologico. Noi lo capiamo benissimo, anche attraverso le cosmicomiche di uno Stefano Lolli che, libero dagli obblighi della grigia cronaca, ci regala da mesi pillole di satira al gusto di salama da sugo. La salama, altro esempio ossimorico di grezzuria ducale: una prelibatezza greve, ma talmente raffinata (chiedere a Carlo Cracco) da risultare troppo succulenta per molti forestieri.
Ferrara è una città che si guarda l’ombelico? Provate voi a guidare in mezzo alla nebbia, quando l’unica cosa che potete scorgere è il bordo del fosso, e lo dovete tenere ben presente per evitare di piombarci dentro, al fosso. Quando dico che il clima plasma il carattere. L’ombelico se lo guardano tutti, perchè almeno quello si vede. Tutti, compresi quelli che si scandalizzano di chi governa la città come fosse un luna park di paese. Ferrara non è Bologna. E’ stata piena di fascisti e piena di comunisti, e se si sente abbastanza comoda nella sua coltre, si adagia sul potere di turno anche per settant’anni. Ricordiamocelo, almeno questo: gridare contro “la peggiore amministrazione d’Italia” non sposterà un voto. Uno lo capisce anche quando arriva in stazione (soprattutto d’inverno, quando dal finestrino si passa dalla Terra alla Luna in dieci chilometri): Ferrara, Ferrara, stazione di Ferrara. Nonostante il nome della città sia pronunciato per ben tre volte, il sostantivo determinante è “stazione”. Ferrara sta ferma, sovente in posizione prona. Invece di lamentarci per le luminarie, prepariamo le nostre, se pensiamo di averne di più belle. Magari senza essere troppo schizzinosi: a cantarcela e a suonarcela da soli siamo già capaci.
Su Ferrara, Natale, luci e luminarie vedi anche gli articoli su ferraraitalia di Giovanni Fioravanti [Qui] e Francesco Monini [Qui]
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Nicola Cavallini
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