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di Barbara Diolaiti

Nel 1957 iniziò quella che fu definita “la grande bonifica della Valle del Mezzano”, durata una decina di anni, al termine della quale solo pochi lembi vallivi, i più occidentali, non vennero toccati dal prosciugamento. Nello stesso periodo numerosi Paesi e organizzazioni stavano invece già ragionando sulla necessità di proteggere le aree umide; una riflessione che condusse alla firma della Convenzione di Ramsar, il 2 febbraio 1971. “Le parti contraenti, riconoscendo l’interdipendenza tra l’uomo ed il suo ambiente, (…) convinti che le zone umide costituiscono una risorsa di grande valore economico, culturale, scientifico e ricreativo, la cui perdita sarebbe irreparabile; desiderando arrestare ora e per l’avvenire la progressiva invasione da parte dell’uomo e la scomparsa delle zone umide…”

La Convenzione di Ramsar venne ratificata e resa esecutiva dall’Italia col DPR n. 448 del 13 marzo 1976 e con il successivo DPR n. 184 dell’11 febbraio 1987. Ma il Mezzano era ormai trasformato in terreni agricoli.

Ora si sta rischiando un nuovo pericoloso anacronismo: quest’area agricola, una delle più grandi non urbanizzate in Europa, è interessata dal progetto di una nuova autostrada, che la spezzerebbe a metà. Della Orte – Mestre si discute almeno dagli anni ’90, del tracciato, della necessità o meno di quest’opera, osteggiata fin da allora da associazioni ambientaliste e Verdi.

A inizio novembre 2013 il Cipe ha dato il via libera alla realizzazione della Orte – Mestre. Quattrocento km di autostrada che correrebbero attraverso terreni agricoli.

L’art. 9, comma 2 della Costituzione italiana recita: “La repubblica Italiana tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

“Un articolo con ogni evidenza non attuato – spiega Luca Martinelli di Altreconomia, invitato a discuterne in un incontro pubblico organizzato venerdì 7 febbraio dal comitato provinciale di Ferrara, costola del coordinamento nazionale contro la Orte – Mestre, nato poco più di un mese fa – In Italia i terreni agricoli vengono considerati territorio libero, pronto per essere coperto da nuovo cemento.”

Nonostante la costante emergenza idrogeologica mostri che di nuovo cemento questo Paese non ha alcun bisogno.

Il costo stimato per la Orte – Mestre si aggira tra i 7 e i 10 miliardi di euro. La più costosa tra le grandi opere previste. Almeno 4  miliardi dovrebbero venire coperti dal prestito delle banche, con rientro nel 2040, e con conseguente aumento del debito dello Stato.

“E se le banche dovessero sfilarsi – prosegue Luca Martinelli – è molto probabile un intervento di Cassa Depositi e Prestiti il che significherebbe finanziare un’opera inutile con i risparmi postali dei cittadini e, di nuovo, tradire la natura stessa di Cassa Depositi e Prestiti. E in ogni caso il rischio di un inizio lavori senza la certezza di riuscire ad avere la copertura economica è reale. Tutta l’opera si basa sulla stima di un aumento di traffico tra il 2022 (data presunta di termine dei lavori) al 2040 del 25% rispetto ad oggi. Un’assurdità considerando che già oggi tutti i concessionari di autostrade chiedono, e ottengono, la possibilità di aumentare le tariffe causa la diminuzione di traffico.”

Le nuove autostrade progettate in Italia sono oggi 32, ben 20 delle quali insistono sul territorio della Pianura padana.

Perché ancora grandi opere anziché la cura e la messa in sicurezza del territorio? A questa domanda aveva risposto non molto tempo fa a Ferrara Ivan Cicconi nel corso di uno degli incontri di “Invertire la rotta” organizzati dal Comitato locale per l’acqua pubblica: “L’impresa post-fordista non produce nulla in proprio, ma parcellizza, appalta e subappalta. Per funzionare, per fare profitti, questa impresa ha bisogno di grandi opere come la Tav o la Orte- Mestre: grandi opere per le quali non ci sono soldi sufficienti stanziati; così entra in gioco la finanza producendo un aumento di debito occulto dei Paesi. L’impresa post-fordista deve avere traguardi a breve e una politica in sintonia. Così viene eliminata l’utopia, ogni ipotesi di cambiamento e la politica diviene adeguamento all’oggi.”

“La Orte – Mestre non è considerata strategica dall’Europa – conclude Martinelli – e l’alleanza tra cittadini e amministrazioni è elemento fondamentale per evitare follie di questo genere, ma anche nel caso di istituzioni miopi, la battaglia è ancora aperta, appena iniziata.”

E se oggi fermare la Orte – Mestre può sembrare un’impresa titanica, il Comitato non dimentica che il Ponte di Messina non si farà più.

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Redazione di Periscopio



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