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A settembre anche le rose moderne, quelle grandi, un po’ spigolose sui loro gambi dritti, assumono un’aria di particolare dolcezza. Sarà il peso dell’estate che le ha sfinite per il troppo sole o per la troppa pioggia, sarà perché alla fine della stagione vegetativa emergono i caratteri genetici più nascosti, e così anche le rose moderne mettono allo scoperto qualcosa delle parenti più antiche, un po’ come quando invecchi e ti accorgi di assomigliare alla tua bisnonna. Le ultime fioriture dell’anno hanno qualcosa di imperfetto, un languore polveroso che fa pensare ai quadri del pittore francese Henry Fantin-Latour.
Fantin-Latour visse in Francia nei decenni di passaggio tra ‘800 e ‘900. Come tutti gli artisti vissuti in quel periodo contribuì a cambiare il linguaggio delle arti figurative, ma lo fece in modo poco appariscente scegliendo, come firma personale, di dipingere quasi esclusivamente nature morte con vasi di fiori. Da secoli le accademie avevano stilato una lista dei cinque soggetti appropriati alle arti figurative, e in cima alla graduatoria c’erano i soggetti storici e mitologici, molto adatti a simboleggiare i valori civili più alti come la gloria della nazione o la giustizia. La natura morta con fiori e frutti era l’ultima voce in lista perché non poteva essere associata a nessun valore. Le rose dipinte da Fantin-Latour erano un semplice piacere per gli occhi, arte per l’arte senza pretese educative, questo fatto lo rendeva artista al di fuori dei giri accademici e gli garantì comunque una vita agiata, grazie al mercato anglosassone che apprezzava il suo lavoro.
Fantin-Latour stimava e conosceva gli Impressionisti, suoi amici e coetanei, ma preferì dipingere con le tecniche e i colori dei maestri del XVIII secolo, in particolare di Jean-Baptiste Chardin, ripetendo per decenni e in modo quasi ossessivo quadri in cui ritraeva vasi di fiori. Le sue opere sono dei veri e propri ritratti floreali, soprattutto nel caso in cui le rose vengono specificate per la loro varietà. Già da un secolo, in Francia, la coltivazione delle rose era al centro del mercato florovivaistico, un mercato fiorente e all’avanguardia che muoveva soldi a palate, favorito da un delirio che aveva portato le poche centinaia di varietà esistenti, raccolte e collezionate da Giuseppina Bonaparte nel parco della Malmaison, alle migliaia create dai vivaisti francesi e presenti sul mercato europeo alla fine del XIX secolo. Rose, dunque, già protagoniste dei giardini, e poi rappresentate da Fantin-Latour in modo assolutamente classico. In questo modo il soggetto è il solo protagonista della tela, assume qui la solennità di un vero ritratto e il soggetto non viene sopraffatto dalla ricerca di nuovi stili o tecniche pittoriche, come avveniva in quegli anni di grandissime sperimentazioni artistiche. Cosa significa? lo capiamo confrontando un vaso di rose dipinto da Fantin-Latour con uno, per esempio di Monet, o Van Gogh: per loro era più importante dipingere la luce vibrante sui petali, era prioritario il modo di dipingere il fiore rispetto al fiore stesso.
Se i disegni di Pierre-Joseph Redouté avevano fatto conoscere la bellezza della rosa descrivendo le precise differenze tra le forme delle varietà antiche, Fantin-Latour consacra la rosa come fiore protagonista del suo tempo, fiore della modernità, come i treni a vapore, i teatri, le larghe strade urbane, immortalate dagli impressionisti. Rosa ripetuta come soggetto, cambiando solo i dettagli delle composizioni, attraverso un lavoro che possiamo paragonare ad una specie di minimalismo musicale riportato sulla tela.
Fiori morbidi e aperti, colti nel momento perfetto della rosa matura ma non ancora sfatta. Rose dai colori forti, ma sempre smorzati da un velo di polvere di cipria, come fossero sempre illuminati da un luce velata di nuvole, da una luce di settembre.

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.


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