Il mondo dei racconti non smette mai di stupire. Ormai si può immaginare di tutto e proiettarsi nel passato con gli strumenti di oggi, provando anche a riviverlo e a farlo condividere.
Ancora una volta empatia ed emozione hanno un ruolo fondamentale nella comunicazione di esperienze che cercano di coinvolgere, far ricordare e comprendere.
La memoria delle grandi guerre e delle tragedie che esse hanno comportato per tutto il genere umano, di ogni classe sociale e credo non va mai perduta, e a volte va comunicata in maniera diversa, se non altro per attirare l’attenzione anche dei più giovani su fatti che ormai i nonni non ci possono quasi più raccontare, per banali questioni anagrafiche.
La Prima Guerra Mondiale, in particolare, è forse uno degli eventi storici principali che ci vengono raccontati a scuola, ma la tendenza ad allontanarci da fatti così distanti nel tempo aumenta con l’aumentare del sovraccarico di informazioni che la nostra mente riceve ogni giorno, in termini di notizie, immagini e video. C’è allora chi ha pensato nel 2013, di “riportare in vita” alcuni fatti del primo conflitto mondiale, utilizzando un linguaggio moderno e i potenti mezzi dello strumento allo stesso tempo più amato e tenuto degli ultimi tempi, Facebook.
Si tratta della campagna “Facebook 1914” ideata dal Musee de la Grande Guerre di Pays de Meaux, insieme a una nota agenzia di comunicazione parigina. Parliamo, per la precisione, di una campagna istituzionale cosiddetta ‘teaser’(dall’inglese to tease, “stuzzicare”), ossia di una campagna pubblicitaria preliminare, di forte impatto, che cerca di suscitare nel pubblico la maggior curiosità possibile, senza però rivelare inizialmente la natura, il nome o la marca del prodotto pubblicizzato. Il mistero sarà svelato solo alla fine, cosa che è avvenuta anche con “Facebook 1914”.
Di cosa si tratta? Semplice, ma geniale.
Si è ipotizzato che Facebook esistesse agli inizi del secolo e che un giovane insegnante partito per la guerra, Leon Vivien, dalla sua pagina personale (vedi) comunicasse con l’amata e bella moglie Madeleine, incinta, che lo attendeva speranzosa a casa. I due si sono scambiati messaggi quotidiani fatti di paura, terrore, comprensione e amore per dieci mesi e ogni comunicazione era accompagnata da fotografie e immagini scattate al fronte. Nessuno svelava nulla, le fotografie erano reali, solo dopo si sarebbe saputo che appartenevano all’archivio di un museo. Intanto i media si incuriosivano a questo esperimento, migliaia di persone commentavano (oltre 57.000 “followers” totali e 5000 commenti solo nelle prime due settimane), tutti si chiedevano se Leon sarebbe tornato. Al termine della lunga campagna di teasing, attentamente controllata dallo storico Jean Pierre Vernay, le persone che seguivano Leon sono state invitate a visitare il Museo per scoprire di più di questo tempo lontano, ma storicamente tanto importante (e capire se Leon è/era poi tornato a casa da moglie e figlio). Sul suo profilo Léon descrive il conflitto, ripercorrendone i principali avvenimenti: dall’assassinio a Sarajevo dell’Arciduca Francesco Ferdinando (“L’archiduc François Ferdinand assassiné!”, si legge nel suo primo post del 28 giugno 1914) all’incontro con le truppe tedesche (“Oggi abbiamo visto il nostro primo tedesco, o meglio ciò che ne è rimasto: un berretto grigio sopra una croce nera”, scrive Léon). E poi il momento finale tragico, quando scrive alla sua Madeline: “i tedeschi stanno caricando. Io sono un soldato di Crécy, un fante senza armatura. Ho paura, Madeleine. Ti amo. Sono arrivati”, l’ultimo post del scritto il 22 maggio del 1915. Una storia che diventa “social” e coinvolge, avvolge, penetra nella vita dei lettori. Un mondo che genera altro mondo, che funziona da “cultural activator”, un’attività che dà a tutta la comunità qualcosa da fare. Spesso sulla base di un racconto importante, ci svegliamo, ci attiviamo, reagiamo, vediamo. Ragioniamo, approfondiamo e cerchiamo di capire, questo conta. E questo è sicuramente successo qui.
La chiusura della campagna è avvenuta con l’annuncio della morte del giovane e del fatto clamoroso che non era mai esistito, ma che rappresentava semplicemente uno dei tanti giovani partiti per il fronte e mai rientrati. Se il Museo ha visto aumentare del 45% il flusso di visitatori, la memoria anche dei più giovani è stata abilmente risvegliata e adattata ai tempi moderni. Una campagna di lettere dal fronte davvero unica e degna di nota: il primo conflitto mondiale attraverso il profilo di un soldato immaginario. Geniale.
Profilo Facebook di Leon: vedi
Video della campagna: vedi
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Simonetta Sandri
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