“…E andiamo a Parigi dal nostro inviato: Bruno, ci senti? Ti passo la linea!”. “Sì, grazie Raffaella, è proprio come stavi dicendo: qui nella capitale francese…”.
Ora questa è la normalità. Conduttori, inviati, ospiti dialogano fra loro, in forma diretta, in modo colloquiale e informale. Si danno del tu. Si chiamano per nome. Conversano (“Guarda, nelle strade qui intorno a me non c’è nessuno in questo momento…), quasi fossero in famiglia. E il telespettatore ha come l’impressione di essere dentro al fatto, direttamente coinvolto, partecipe.
Un tempo non era così, in tv c’era una rigida etichetta: nome e cognome, rapporto formale, riferimento sempre rispettoso allo spettatore. Che cos’è cambiato? Il tono certamente, più diretto, informale, amichevole. Ma anche il punto di riferimento: non è più chi sta al di là dello schermo, ora i giornalisti sono i veri protagonisti, partecipi anch’essi delle storie che raccontano, attori di una messa in scena alla quale noi (spettatori) siamo eccezionalmente ammessi. Al confronto, le vecchie maniere – più ingessate, formali – marcavano certamente la distanza, ma anche il rispetto dei ruoli.
Ora questo spettacolino dell’informazione che caratterizza un po’ tutti i telegiornali e i numerosi contenitori di notizie, ci rende falsamente partecipi: non ci è più riconosciuta l’identità di utenti del servizio (che in un certo senso significa anche essere gli azionisti di maggioranza, perché il canone o l’abbonamento in fin dei conti li paghiamo noi); ma in realtà non assurgiamo neppure a uno status di pari grado, non diventiamo commensali come la situazione ci illude d’essere, perché, a ben vedere, parlano fra loro, sono loro i protagonisti, noi siamo semplicemente spettatori passivi, come davanti a una vetrina o nella sala prove di un teatro, e assistiamo a quel che succede. Siamo stati ammessi, beneficiari e beneficiati dalla loro magnanimità. Loro sanno, discutono, discettano, scherzano, ammiccano, si danno di gomito: noi possiamo star lì a guardarli, ignorati eppur felici di essere ammessi alla recita, orgogliosi di questo privilegio che ci è stato concesso. Parvenu. Facci caso…
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Sergio Gessi
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