La gentilezza che è possibile riscontrare nei modi esteriori come predisposizione morale in questo momento è merce assai rara in quanto confusa con la rudezza, che nella vulgata è sinonimo di quel machismo immortalato nel western d’antan dal cattivo di turno. Una presa di distanza inequivocabile dalla gentilezza è il grugno di Trump, per esempio, quando con fare rudemente amicale mostra la firma con la quale sancisce la proibizione d’ingresso negli Usa ai popoli di almeno sette stati islamici. Nel segno ha ancora una volta colpito la satira di Michele Serra che ne ‘L’Espresso’ del 29 gennaio propone il grugno come l’immagine del maschio alfa odierno, i cui massimi rappresentanti sono ovviamente il presidente Usa e Putin. In che cosa consisterebbe il grugno di Trump? Ma naturalmente nel tweet con le sue essenziali battute: 140. Scopo sarebbe – e cito – “stupire o atterrire gli altri membri del branco e far capire alle femmine chi è il più prestante del circondario”. La prestanza del grugnito di Putin si misura con la sua immagine di attività sportive che ricordano, prosegue Serra, le imprese del “maschione vecchio modello”: il nostro Benny M. che saltava i cerchi di fuoco e con la mascella protrusa e il braccetto al fianco ululava grugniti da un celebre balcone. Ci sono anche oggi deboli tentativi di grugnire anche nel Bel Paese, che vanno dalla bavetta che si forma alla bocca di chi si veste con felpe possibilmente nere allo stridore da carta vetrata di altri che spalancano l’occhione e scuotono furiosamente la boccoluta capigliatura, mentre altri ancora si attaccano alla gorgia fiorentina facendo definitivamente sparire nel grugnito qualsiasi possibilità di sopravvivenza della consonante ‘c’.
Dote fondamentale dei ‘grugnanti’ è il disprezzo verso la cultura, specie di quei radical-chic a cui mi onoro d’appartenere. Va da sé che questa infame categoria usa la gentilezza (le rare eccezioni confermano la regola), che di solito non s’accompagna a quella specie di cui il presidente Usa è il massimo rappresentante cioè, come sottolinea Curzio Maltese ne ‘Il Venerdì’ del 27 gennaio, i “poorly educated”: i poco istruiti. Attenzione! Qui non si tratta di quei poco istruiti ai quali si sono rivolte le attenzioni di straordinari messia come Don Milani o Pier Paolo Pasolini o, nel presente, un papa di nome Francesco. Qui si tratta di coloro che a questioni complesse invariabilmente scelgono povere e deludenti semplicistiche risposte. In altre parole coloro che si riconoscono nelle pance e non nel cervello della razza umana. Chiamateli populisti se vi piace. A costoro è inutile proporre un ben che minimo ragionamento complesso. Questa è robaccia. Da intellettuali.
C’è un’altra categoria di gentilezza (falsa) ampiamente usata come rapporto tra chi vuol vendere qualcosa e chi deve comprarlo: dalla commessa a certi straordinari personaggi che hanno salvato intere importanti aziende, per esempio, la fabbrica un tempo italiana delle automobili. L’abbigliamento va dall’uniforme al maglioncino di cachemire rigorosamente blu. Uniformi preziose quali quelle che indossano le vendeuses nei negozi di lusso, la cui preziosità fa risaltare una gentilezza quasi sempre sconfessata dalla durezza dello sguardo che dice: “Stai attento! IO guido il gioco. E se vuoi starci: paga!”. Così qual mezzo è più efficace dello pseudo umile maglioncino blu tra i vestiti orrendi di rappresentanza dei grandi del mondo con le loro giacchette impostate su misura?
Ci sono poi uniformi meravigliose che, invece, gridano la gentilezza d’animo. Sono quelle indossate dai vigili del fuoco, dalle forze d’ordine, dai volontari, che hanno salvato e salvano vite umane travolte dalla implacabile freddezza della Natura.
Chi allora esercita ancora la gentilezza?
Chi si prende cura delle debolezze altrui e le com-patisce assieme.
Qualche giorno fa su Rai Tre al mattino parlava un pastore la cui loquela era degna di chi sta per affrontare un master in filologia. Spiegava che non è che uccidere i lupi risolva i problemi dell’attività che esercita. E’ questo un falso problema. Da loro ci si può difendere molto bene. La vera terribile situazione è l’abbandono della montagna e la trascuratezza colpevole della cura con cui si dovrebbero mettere in sicurezza le montagne e ciò che producono. Usava una gentilezza d’eloquio più affilata di qualsiasi insulto.
A coloro che se ne intendono va dunque affidato l’arduo compito di scoprire la gentilezza. Quella vera. Che non si esaurisce nel sorriso tollerante e che, al limite, può nascondersi nel ‘tu’ con cui giovani mai conosciuti mi interpellano e che ci rimangono male quando, nel mio inflessibile radicalismo, rispondo con il ‘lei’.
Perché se non si è capace di far capire che solo il rapporto paritario – quello cioè nel quale tu rispetti e pretendi rispetto e gentilezza – siamo veramente arrivati al punto di non ritorno.
Un esempio che rimarrà inimitabile mi è capitato proprio pochi giorni fa. Spinto da incomprensibili e minacciose avvertenze dell’Enel che mi prometteva di tagliarmi il gas se non pagavo una serie di bollette del 2014, nonostante i pagamenti siano da sempre affidati alla banca che non ne trovava traccia, telefono al call center. Una signora di nome Anna mi chiede sbrigativamente cosa voglio. Rispondo al mio meglio e lei conclude “Ma non se ne era accorto che non le arrivavano le bollette?” Balbettando rispondo che lo fa la mia consorte perché io poco mi ci raccapezzo, causa anche il lavoro che svolgo. Inquisitoria mi domanda: “Che mestiere fa?”
Rispondo “Il letterato”
Allora conclude prima di sbattermi giù la cornetta: “Certo! Il letterato… coglione!”.
Misteri della gentilezza.
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Gianni Venturi
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