Da MOSCA – Siamo di fronte a tanti micro-mondi unici, toccanti e originali, quelli della settantenne scrittrice sovietica Ljudmila Ulickaja, nata a Davlekanovo, Bashkiria, nella regione degli Urali, in una famiglia di intellettuali. Cresciuta a Mosca, dove ancora vive, qui ha studiato e si è laureata in Genetica presso la famosa e prestigiosa Moscow State University. Donna coraggiosa e tenace, inizialmente ha lavorato in un Istituto di ricerca genetica ma, nel 1970, è stata licenziata e arrestata perché accusata di diffondere libri di autori russi e stranieri non condivisi dalla censura che allora vigeva in Russia. Dopo una vita di stenti, causata anche dalla separazione dal marito, nel 1980, viene assunta come direttrice artistica del Teatro Ebraico di Mosca e, negli anni ’90, inizia la sua brillante attività letteraria.
Oggi è considerata una delle maggiori scrittrici contemporanee, un’artista che aspira al raggiungimento della libertà dell’individuo, alla realizzazione delle sue capacità, all’annullamento di ogni differenza, odio, violenza e delusione, alla formazione di un’umanità nuova, perché libera e unita. E, come la donna, anche la scrittrice è mossa da questi nobili intenti. Ovunque, nelle sue opere, si ritrovano situazioni difficili, di emarginazione, incomprensione, esclusione, isolamento, povertà e, sempre, si spera di cambiare, di liberarsi dei problemi, di progredire. La speranza di una vita migliore è sempre lì, imperterrita, sicura di poter vincere e trionfare. Ljudmila sempre scrive della Russia del passato prossimo, delle grandi rivoluzioni, delle guerre, del secondo dopoguerra, delle gravi e penose condizioni sofferte da masse di popolazioni dimenticate tra le infinite distese delle steppe o tra l’orrore dei ghiacciai, della Mosca delle periferie invasa, dopo il secondo conflitto mondiale, da proletari di ogni provenienza e avvolta dalla miseria. Di queste zone ultime e dimenticate, lei narra di chi vi abita dividendo lo spazio di una stanza, il cibo, la legna, le coperte, le borsette d’antiquariato, i beni essenziali e le fatiche, senza, però, rinunciare alla propria dignità, a pensare e agire comunque in modo esemplare. Figure eccezionali sono quelle della Ulickaja e generalmente sono figure di donne poiché le donne, nella Russia compresa tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, furono le vere protagoniste della vita familiare e sociale essendo gli uomini stati chiamati a partecipare alle rivoluzioni e alle guerre di quel periodo. Le donne, queste donne coraggiose e simbolo di vita eterna.
Anche in questo bel libro che vi presentiamo, “In quel cortile di Mosca”, scoperto per caso, ci sono storie di donne, protagoniste di racconti con una personalità forte e dominante, immerse nella loro realtà storica, nella concretezza di biografie una diversa dall’altra, donne vere, donne vive: Buchara, Ljalja, Bron’ka, Gulja, Genele, Zinaida. Loro con i fazzoletti sulle spalle, con le sciarpe e le vestaglie ricucite, con gli scialli ricamati.
Anche se oggi il loro mondo è scomparso o in via di sparizione – la vecchia Mosca con i suoi vicoli, i suoi cortili, gli appartamenti ricchi di storia e di storie -, queste figure femminili restano impresse nel ricordo e nella mente del lettore, come persone che hanno vissuto una vita che è valsa comunque la pena vivere. Esistenze difficili, segnate da stenti, da difficoltà (spesso da immensa povertà) e da ferite provocate dalla Storia, eppure appassionate, condotte con stile, avvolte da un fascino contagioso, da tormentose incertezze, da occhi imploranti, da mani tese, da visi scarni ma aperti.
Questa meravigliosa scrittrice parla di donne bambine, giovani, vecchie, nate o arrivate a vivere in uno dei quartieri più malfamati della capitale russa. Ci sono ambienti poveri, case buie, cortili maleodoranti e avvinazzati, vicoli ciechi, dove scorrono vite private e pubbliche, vi sono difficili rapporti tra vicini, problemi di sussistenza e sopravvivenza. Donne sole, offese, derubate, tormentate, abbandonate, dal destino incerto, ma sempre donne. Sempre forti. Nulla è visto solo in superficie, si va in profondità di vite, anime, segreti, pensieri, spirito, amori, corpi, valori, sogni, paure. Tutto è analizzato con impietosa precisione e dettaglio. Quasi vi fossero potenti raggi X che percorrono ogni corpo e anima. Per lei la persona è anche, e soprattutto, corpo, qualità e capacità, la loro forza e bellezza. Una scrittrice che vuole risalire allo spirito da ogni materia, con energia positiva e situazioni coinvolgenti, considerata da tanti l’erede dei grandi raccontatori russi come Tolstoi e Dostoevskij. Vincitrice del Prix Medicis (1996), del Premio letterario Giuseppe Acerbi in Italia (1998), del Premio Ivanushka per il miglior romanzo dell’anno Russia (2004), del Premio città di Penne (Italia) (2006), del Big Book Russia (2007), del Premio Grinzane Cavour (2008) o del Prix Simone de Beauvoir pour la liberté des femmes (2011), questa autrice, i cui testi hanno ispirato anche film e serie televisive, merita davvero attenzione. Una luce nell’ombra, un’aureola dorata ondeggiante. Un vago arabesco d’arcobaleno in una pozzanghera.
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Simonetta Sandri
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