Stavamo in pensiero.
Una volta uscite nella serata di lunedì 13 gennaio le motivazioni della Corte Costituzionale che ha cassato, in parte, il Porcellum, quali sono le onde sulla politica e, in particolare, sulle tre proposte di legge elettorale di Renzi?
Se lo è chiesto Roberto D’Alimonte sulle colonne del Sole 24 Ore (martedì 14 gennaio).
Seguiamo il ragionamento, perché il professore non è mica un patacca qualsiasi.
La Corte avrebbe bocciato “quel” premio di maggioranza, frutto della fantasia sfrenata di un odontoiatra sposatosi con rito celtico, non qualsiasi premio.
Così non sarebbero, sulla carta, fuori luogo la proposta del segretario Pd del Mattarellum modificato, ribattezzato “Matteum” dal maestro Sartori, e quella sul modello dell’elezione dei sindaci.
Nel primo caso la vecchia legge in vigore prima dell’era Calderoli, attribuiva il 75% dei seggi con sistema maggioritario in collegi uninominali: il più votato si prendeva il seggio e tutti gli altri a guardare.
Ora la proposta del sindaco di Firenze prevede che la rimanente quota del 25% dei seggi, prima aggiudicata con metodo proporzionale, sia trasformata in premio di maggioranza da aggiudicare a chi vince fra i primi due.
Sarebbe salva anche la disproporzionalità contenuta nel doppio turno di lista (il modello sindaci), perché il premio che garantisce il 55% dei seggi in Parlamento va a chi al primo turno di aggiudica il 50% più uno dei voti. Quindi non un premio concepito sul modello dell’Asso che fa scopa.
In sostanza i giudici della Corte avrebbero voluto semplicemente circoscrivere le distorsioni fra voti e seggi, senza arrivare a fissare dei veri e propri paletti.
E così rimarrebbe sul tavolo pure la terza proposta, cucita sul modello spagnolo: un sistema proporzionale, sì, ma su collegi talmente piccoli da assegnare i seggi in palio ai vincitori e pochissimi altri. Proporzionale con effetti maggioritari.
L’altro tema è quello delle liste bloccate. Si poteva pensare che l’istituzione a guardia della Costituzione le avesse proibite tout court. E invece così non è stato, perché “il divieto – scrive D’Alimonte – è limitato alle liste bloccate lunghe”.
Perciò, anche da questo punto di vista, resterebbero in gioco tutte e tre le proposte renziane: vanno bene collegi uninominali, alla Mattarella o altri, e va bene il modello spagnolo basato su collegi piccoli.
A questo punto il tema non sarebbe più giuridico ma politico, anche se non manca chi ha fatto notare che il modello sindaci, se tale e quale, implicherebbe la bazzecola del cambio della Costituzione, perché i primi cittadini sono ad elezione diretta, mentre se lo sguardo è rivolto a Madrid andrebbero completamente ridisegnati tutti i collegi elettorali dello Stivale, che non è operazione che si fa in due e due quattro.
In ogni caso, Renzi ha detto che per lui questo o quello pari sono, purché si faccia presto (ma guai a chi pensa che abbia Letta nel mirino).
A Berlusconi piace quello spagnolo, almeno per il prossimo quarto d’ora, mentre ad Alfano veste di più il modello sindaci.
Una cosa la dice chiara e tonda il professor D’Alimonte, in un contesto diventato nel frattempo tripolare (Pd, Forza Italia più Ncd e Cinque Stelle fino a prova contraria si equivalgono): “occorrono sistemi di voto che trasformino la minoranza relativa dei voti in maggioranza assoluta”. Altrimenti, si potrebbe continuare, il paese non lo governa più neanche il mago Otelma in persona.
Anche se Gianroberto Casaleggio (chi?) ha già fatto sapere che a lui andrebbe bene il suino macellato dalla Corte e cioè un proporzionale puro che, tra l’altro, sarebbe già pronto.
È la sortita di uno che prima di tutto avrebbe bisogno di un barbiere, come avrebbe sentenziato mia madre, o un campanello d’allarme?
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Francesco Lavezzi
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