Di Federico García Lorca molti ricordano i versi dedicati all’amico torero morto durante una corrida, con il famoso incipit “Alle cinque della sera”, le poesie che cantano i gitani, con i coltelli che brillano ‘come pesci’ e la guardia civile sempre incombente, e le atmosfere del paesaggio andaluso: il biancore profumato dei gelsomini in fiore, il gorgogliare delle fontane, il muoversi al vento dei rami degli olivi. Molti ricordano anche i drammi, con personaggi femminili sempre costretti, frustrati e infelici in un mondo chiuso destinato ad esplodere in tragedie improvvise e cruente. Pochi invece conoscono le opere giovanili pensate per l’infanzia e per quel teatro di burattini che lo stesso Lorca, da piccolo, aveva molto amato. Si tratta di un altro aspetto della sua poliedrica ed eccezionale personalità artistica: poeta, drammaturgo, autore di acquarelli e numerosi disegni a china, esperto di musica (il festival del cante jondo organizzato con l’amico Manuel de Falla, le canzoni popolari arrangiate, la passione per il pianoforte), e fondatore negli anni della Repubblica del gruppo teatrale universitario La barraca che portava, nei paesi della Spagna rurale, i grandi classici del teatro spagnolo.
Apparentemente. meno legate a tutto questo, sembrano i primi testi teatrali che però riportano anch’essi a quel senso di desiderio irrealizzato, di voler essere quello che non si è, o che non si può essere, ricorrenti nella sua opera drammatica (e non solo). Penso in particolare a una pièce per burattini che compose quando aveva poco più di vent’anni: Il maleficio della farfalla. Fu l’incontro con un drammaturgo e impresario teatrale a decidere la sorte di quest’operetta, giacché Gregorio Martínez Sierra (questo il suo nome), affascinato dalla storia e dagli insoliti protagonisti, convinse il poeta a trasformare quel testo per burattini in una commedia da rappresentare in teatro. Così, rivisto e corretto, Il maleficio della farfalla si trasformò in una “commedia in due atti e un prologo”. Chissà come reagirebbe il pubblico dei nostri giorni se, recandosi a teatro (Covid-19 permettendo), invece di veder comparire sul palcoscenico i protagonisti di una commedia in certo modo prevedibile – con una ragazza triste e innamorata, un giovane sognatore con ambizioni di poeta, una madre preoccupata di trovare una nuora con una ricca dote, e vari personaggi di contorno -, si trovasse di fronte a degli attori travestiti da insetti: scarafaggi, lucciole, uno scorpione e una farfalla. Quello che è certo, però, è che nella primavera del 1920 (cioè esattamente un secolo fa) gli spettatori del teatro Eslava di Madrid videro proprio questo; e inevitabilmente, benché il teatro nel quale si erano recati fosse noto per essere d’avanguardia, la loro reazione fu piuttosto vivace, c’è addirittura chi racconta che, vedendo queste atipiche figure, dal loggione qualcuno abbia invocato l’uso di un noto insetticida. Anche i quotidiani segnalarono che l’accoglienza non era stata tranquilla: rumorose proteste avevano disturbato la rappresentazione e tra i due gruppi contrapposti (gli amici o sostenitori dell’autore e coloro che dissentivano) si era creata una tale bagarre da rischiare il nascere di una vera e propria rissa.
Gli attori erano stati bravissimi – lo segnalavano le recensioni – ma né loro, né la ballerina, né le musiche di Grieg appositamente arrangiate erano riuscite a salvare la prima. È evidente che il pubblico non era ancora preparato per questo tipo di spettacolo, la cui rappresentazione invece doveva essere stata veramente fuori del comune: si trattava della prima opera drammatica di un poeta ‘nuovo e molto interessante’ – come aveva annunziato pochi giorni prima la stampa – e molti importanti nomi erano coinvolti: la famosa ballerina “Argentinita” (poi legata al torero Sánchez Mejías a cui Lorca avrebbe dedicato il suo famoso Llanto) impersonava la farfalla caduta che, muovendo le ali, iniziava a danzare, l’altrettanto nota attrice Catalina Bárcena ricopriva il ruolo dello scarafaggino protagonista tormentato nella sua ricerca dell’irraggiungibile, l’artista Rafael Barradas aveva disegnato i costumi e al tanto richiesto scenografo Fernando Mignoni si doveva lo sfondo sul quale si muovevano gli insetti: l’erba di un prato coperta di rugiada, un laghetto circondato da gigli e sassi azzurrini, un sentiero costeggiato dalle tane-case di un “minuscolo e fantastico” paesello.
L’azione iniziava con il rosseggiare dell’alba e con due blatte che conversavano fuori della tana. Bastavano poche battute e il tema base dell’intreccio era delineato mentre i vari insetti che si succedevano sul palcoscenico riproducevano con il loro dialogo, in quel piccolo mondo ‘infimo’, gli stessi sentimenti e desideri che caratterizzano la vita degli esseri umani. Era il precipitare di una farfalla sul prato l’elemento che scatenava la tragedia: l’ansia inappagata del protagonista trovava in quest’essere bello e irraggiungibile il suo concreto e fatale referente. Alla morte della farfalla seguiva infatti anche la sua, e il suo corpo nero veniva solennemente trasportato su un petalo di rosa da un corteo di lucciole e scarafaggi, mentre la scena si colorava della luce del tramonto e riecheggiava il suono di una marcia funebre.
In realtà di questo finale e del dialogo che l’aveva preceduto sappiamo ben poco poiché parte del II atto è andata perduta; e la stessa commedia – rimasta a lungo inedita – fu resa pubblica in Spagna solo tardivamente, piú di un ventennio più tardi (nel 1954); e inevitabilmente ancora più tardiva fu la sua circolazione in Italia. Bisognerà attendere la I edizione integrale del Teatro di Federico García Lorca stampata da Einaudi nel 1968, dove però il traduttore – Vittorio Bodini – la relegava in appendice proprio perché opera giovanile e, a suo avviso, ancora ‘immatura’. La considerava invece degna d’attenzione il poeta Giorgio Caproni che, tre anni più tardi, scelse di tradurla e di mandarla in onda alla radio restituendole, con una lettura drammatizzata che coinvolgeva una quindicina di attori, un regista e una musica di sottofondo, la sua funzione di testo teatrale.
Quello che è interessante in questa traduzione caproniana naturalmente è il confronto che si venne a creare tra i due poeti, giacché la sensibilità nella lettura e nella resa dei versi (solo il breve prologo è in prosa) era inevitabilmente differente rispetto a quella di un qualunque, sia pur bravo, traduttore. Tra l’altro Caproni aveva riflettuto più volte, non solo sulla difficoltà del tradurre poesia (per quell’impossibilità di riprodurre fedelmente i suoni e i ritmi dell’originale), ma anche sul ruolo del traduttore, più complesso ancora se era a sua volta poeta: si trattava allora – osservava – di mettersi al servizio dell’altro, ma senza dimenticare se stesso. E proprio a queste parole pensavo, preparando per Feltrinelli la ristampa di questa traduzione in un volume appena uscito che riunisce tutte le versioni di Giorgio Caproni dalla poesia spagnola e ispanoamericana. La sua infatti è una versione molto bella, allo stesso tempo autonoma e fedele, costantemente attenta alla parola lorchiana che viene ricreata ricorrendo all’ampia gamma sinonimica offerta dalla nostra lingua e ai più diversi registri (colloquiale, culto, popolare) in modo da offrire ogni volta l’equivalente migliore per significato e suono.
Né è una casualità che Caproni, dopo averla tradotta nel 1971, si sia ricordato di questa commedia anche negli anni successivi, selezionandone alcuni brani per il suo Quaderno di traduzioni e facendo ritrasmettere la 1a scena durante una puntata della rubrica radiofonica Il girasole. Anzi, in quest’ultimo caso, la lettura era preceduta da poche ma significative parole con le quali, oltre ad alludere all’intreccio (“È la storia d’un amore impossibile: uno scarafaggino poeta s’è innamorato d’una farfalla ferita, caduta da un cipresso”), concludeva: “Nel teatro di García Lorca Il maleficio della farfalla occupa forse un posto marginale […]; ma non per questo la commedia è priva d’incanto poetico”.
Cover: documenti relativi a El maleficio de la mariposa di Federico Garcia Lorca e altri materiali lorchiani, composizione di Laura Dolfi per Ferraraitalia.
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Laura Dolfi
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