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L’avvenimento da cui prendo spunto risale ad alcuni mesi, ma le considerazioni che suggerisce restano assolutamente attuali. Al teatro De Micheli, un bel luogo nelle Terre di Mezzo, tre economisti si sono rivisti per parlare dei “territori della crisi”, un argomento caldo, di fronte ad un pubblico attento.

Pasquale Persico, esperto di piani strategici ed economista dell’Università di Salerno, Patrizio Bianchi, già rettore ed economista del nostro ateneo, Aldo Bonomo, sociologo e fondatore di Aaster (Associazione Agenti di sviluppo del territorio), ci hanno illustrato alcuni percorsi ed analisi guardando molto lontano nella storia economica, e aprendo ad una visione senza, però, scavare nelle criticità dei problemi e della crisi di oggi.

Ci hanno presentato alcuni spunti tratti da due loro recenti pubblicazioni: uno “ La rincorsa frenata”, l’altro “Il capitalismo in-finito“. E poi lo sviluppo degli spunti in articolati discorsi sulle tappe tardive della nascita dell’industria italiana, il suo decollo, fino alla parte alta della catena del valore nell’impresa manifatturiera; e poi, i distretti, i microimprenditori, il capitalismo molecolare, la mancanza di visione, la cultura del debito, le trasformazioni degli ultimi vent’anni.

Abbiamo sentito un linguaggio piacevole e ricco di elementi e fattori, alcuni tecnicismi, parole forbite, a volte anche qualche battibecco, molta storia e alcuni spaccati sociali, e anche un po’ di antropologia culturale. Della crisi di questi lunghi sette anni, però, pochissimi accenni e nessuna traccia individuata come proposta, da poter segnalare alla politica per le successive azioni di governo, territori compresi. Ci siamo guardati un po’ attorno, rammaricati e delusi, anche ponendoci alcuni perché del non voler offrire un efficace e costruttivo contributo, come se dovessimo rassegnarci e lasciarci andare nella disperazione delle nuove generazioni. Forse dobbiamo ancora rimanere attanagliati in un paese avvolto in una morsa che ci rende nuovamente impotenti nella decrescita, oppure possiamo uscirne, come, e quando?

La narrativa, però, non finisce nel fatto. Nel fatto è stata colta la dignità e il rispetto di quel giovane che, seduto vicino e quasi a voce alta, si è rivolto indietro per dire: “… e adesso !?”. Questa dolorosa parola poteva essere seguita da un segno esclamativo o interrogativo; mi sono permesso di mettere entrambi, per non sbagliare.

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Enzo Barboni



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