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Devo confessare una cosa orribile.
Me la tengo dentro ormai da un po’ e sono sul punto di esplodere.
So che suona male ma ogni volta che vedo/sento parlare Mattia Santori mi viene una cosa strana allo scroto, tipo come se fosse sul punto di staccarsi per poi cadere per terra e diventare una specie di strano fossile.
Lo so, è brutto da dire ma lo dovevo dire.
Anni fa mi capitava di guardare “la Melevisione” al pomeriggio perché mio fratello era piccolo e apprezzava molto Tonio Cartonio e tutti i suoi “amici del Fantabosco” (cit.).
Purtroppo, vedendo e sentendo le cose che dice questo Mattia Santori, devo dire che ho iniziato a capire mio fratello.
Tonio Cartonio, confrontato con questo Mattia Santori, recupera un carisma, una cazzimma e anche una simpatia che boh, raggiunge quasi il buon caro Walter Audisio in una splendida giornata di aprile.
Farsi superare da Tonio Cartonio non è roba da tutti ed è giusto riconoscere i giusti meriti a Mattia Santori.
Espletate queste funzioni, mi sembra giusto ribadire che anche il tanto vituperato “odio” ne espleta altrettante e, a mio modo di vedere, ben più importanti di quei pensierini da prima elementare che Mattia Santori e i suoi amici hanno tentato di spacciare per “manifesto”, “programma” o come han voluto chiamare quei 6 punti di cui sembrano andare così orgogliosi.
L’odio è una cosa seria e fondamentale, anche per capire chi si è e cosa si vuole.
Non ci vuole un genio per capire che fra i Partigiani – citati anche dal candido Mattia Santori – un bel po’ di sacrosanto odio carburasse bello peso.
E per fortuna, dico io.
Detto questo, adesso non so più se andare in bagno a farmi una medicazione in quel posto là che ho detto prima o dedicarmi alla scrittura di un pratico e gioviale pamphlet sulle virtù dell’odio ma – visto che non riesco a decidermi – chiudo con il pezzo della settimana.

Solo Odio (Impact, 1984)

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