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Pubbliche o private che siano, oggi la maggior parte delle università italiane non funziona come dovrebbe. Professori spesso indifferenti e poco disposti ad andare incontro agli studenti; si presentano in ritardo alle lezioni, a volte addirittura agli esami, ma la stessa mancanza di rispetto, (perché di questo si tratta), non è accettata se a compierla sono gli studenti.
Ci sono università in un cui un semestre dura poco più di un mese ed altre in cui le sessioni di esame sono talmente ristrette da rendere agli studenti quasi impossibile sostenere tutti gli esami previsti. Inoltre molti professori hanno anche un altro lavoro al di fuori dell’ambito universitario, come ad esempio gli avvocati, gli ingegneri e gli architetti che tendono a prediligere la loro attività libero-professionale rispetto all’insegnamento.
Chi dovrebbe vigilare sul buon funzionamento delle facoltà spesso, per quieto vivere, latita.
A questo inoltre si aggiungono molti docenti impreparati, o non in grado di insegnare, ma che gli studenti devono comunque accettare.
Ecco, è proprio per quest’ultimo motivo che non credo la colpa sia tutta delle università, penso che anche gli studenti abbiano la loro dose di responsabilità. Il lamentarsi senza reagire non ha mai portato a niente: se c’è qualcosa che non funziona bisognerebbe metterci la faccia e parlarne con chi di dovere.
Da sempre i professori, essendo esseri umani, fanno delle preferenze, e non sempre la meritocrazia viene premiata. Di conseguenza gli studenti, i giovani in generale, sono spaventati, hanno paura di parlare, di esporsi, perché temono le conseguenze dei loro gesti, le possibili ritorsioni. Ma se nessuna delle due parti modifica lo stato delle cose, la situazione di stallo non si sbloccherà mai: gli studenti continueranno a lamentarsi inutilmente e i professori proseguiranno con i loro interessi.
Ovviamente non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ma se mi prendo la responsabilità di dire cose che hanno un certo peso è perché, o le ho vissute in prima persona, o mi sono state riportate da altri che le hanno sperimentate a loro volta sulla propria pelle.
Questo è un argomento di cui ho ormai parlato in diversi miei articoli, sperando di suscitare l’interesse di chi la pensa come me, purtroppo però non ho raggiunto l’obiettivo desiderato e ho deciso di ritentare con questa sorta di appello. Invito chiunque si rispecchi in queste mie parole a raccontare la propria esperienza per un confronto collettivo e, perché no, magari per proporre qualche soluzione.

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Silvia Malacarne



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