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“È con profonda tristezza che diamo notizia della morte del poeta, compositore e artista leggendario Leonard Cohen. Abbiamo perduto uno dei visionari più profilici e rispettati del mondo della musica”. Con questo post sulla sua pagina Facebook è stato informato il mondo intero della scomparsa di un’altra delle icone della rivoluzione giovanile americana degli anni ’60: cantautore, romanziere e poeta, Cohen era nato a Montreal nel 1934 da una famiglia ebraica. Suo padre, Nathan, la cui famiglia era emigrata in Canada dalla Polonia, era proprietario di un negozio di abbigliamento di successo. Morì prematuramente, quando Leonard aveva solo nove anni, ma la sua eredità fu sufficiente al figlio per dedicarsi agli studi letterari fino al completamento.

Cohen dimostrò subito grandi doti nella scrittura tanto che la sua prima raccolta di poesie “Let us Compare Mythologies” uscì quando lui era ancora studente universitario, da lì al 1966 pubblicherà altre due opere poetiche e due romanzi, ma in quel periodo Cohen decise di dedicare il proprio futuro alla musica. Autore eclettico e trasversale, nella sua carriera durata mezzo secolo ha cantato di amore, fede, solitudine e disperazione, ma anche di guerra, di politica e di religione. Ispiratore di generazioni di fans e di musicisti, Cohen è stato uno degli artisti più coverizzati della storia della musica moderna: famosissima è l’interpretazione di “Hallelujah” di Jeff Buckley. Singolare è il fatto che la presentazione dell’ultimo album di Leonard Cohen, “You Want it Darker”, sia avvenuta proprio nel giorno dell’annuncio dell’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan, artista con il quale è spesso stato paragonato per la profondità dei testi.

Contrariamente alla maggior parte delle pop star della sua epoca, ha sempre avuto una vita privata tranquilla e priva di eccessi, mentre per la sua carriera, iniziata nel 1967, ha sempre alternato periodi di quiete a momenti di straordinaria prolificità, esplorando sonorità dal country-folk, al soft rock, al pop. Il suo album di maggior successo è stato il primo, “Songs of Leonard Cohen”, unico a raggiungere le 500.000 copie vendute e ad aggiudicarsi il disco d’oro, contenente la canzone “Suzanne”, forse la più celebre da lui cantata. Negli anni successivi sono state le sue canzoni, più che la sua persona a far successo: artisti come gli U2, Elton John, Trisha Yearwood, Aretha Franklin, il già citato Jeff Buckley e tanti altri si sono cimentati in reinterpretazioni dei suoi brani dando loro successo. Perfino in Italia è stato tradotto e cantato da musicisti del calibro di Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Claudio Daiano e Carlo Alberto Contini.

L’ultimo disco, uscito quest’anno e prodotto dal figlio Adam, vede sonorità nuove e sperimentali, con chitarre, archi ed organo a formare un tappeto sonoro ipnotico e avvolgente costante per tutto l’album. La voce calda e profonda di Cohen racconta ancora una volta, un’ultima volta, storie di vita, amore, viaggi e morte in quello che si dimostra sin dalla title track un album testamento. Un addio sotto gli occhi di tutti e che nessuno è riuscito a leggere fino alla triste notizia di ieri mattina.

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Fulvio Gandini



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