Immigrati digitali, nativi digitali, generazione app. Ormai le generazioni non si scandiscono più biologicamente ma secondo mutazioni tecnologiche. Viviamo l’epoca dell’app-coscienza, dell’app-visione del mondo, basterebbe un giusto assortimento di app per avere una vita davvero appagante.
Negli ultimi cinque anni, il gruppo di ricerca Project zero di Harvard, diretto da Howard Gardner, ha portato avanti numerosi studi sul tema della gioventù oggi, per comprendere in che misura e in quali modi i giovani del nostro tempo differiscono dai loro predecessori. Feltrinelli ne ha pubblicato i risultati: Howard Gardner e Katie Davis, Generazione APP. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale.
Osservazioni, dialoghi, interviste sistematiche a ragazzi, dalle scuole medie all’università, per comprendere non già la generazione dei nativi digitali, ma quella addirittura successiva: la generazione app. Giovani che vedono ormai il mondo come un insieme di app e le loro stesse vite come una serie ordinata di app e, in molti casi, come un’unica app che funziona dalla culla alla tomba.
«Perché nel futuro dovremmo aver bisogno della scuola? In fondo le risposte a tutte le domande sono contenute in questo smartphone, o presto lo saranno», è la domanda provocatoria di uno studente.
L’emergere delle tecnologie digitali in generale, e delle app in particolare, ha creato una generazione unica: plasmata dalla tecnologia; con una coscienza fondamentalmente diversa dalle precedenti e, molto probabilmente, destinata a fare strada a una serie di generazioni ancora più brevi e a loro volta definite dalla tecnologia.
Tre aspetti della vita dei giovani sono maggiormente influenzati dalla tecnologia digitale: il loro senso di identità, la loro capacità di avere relazioni intime e la loro facoltà di immaginazione.
La ricerca identifica una generazione di giovani sempre più pragmatici e concentrati sulla carriera, oltre che più concreti e meno ideologici. Le loro identità sono prematuramente determinate, sono programmate come se fossero una app. Sono molto più concentrati sulla “gestione della vita quotidiana” che sul tentativo di sviluppare progetti a lungo termine. Le app sono scorciatoie, rendono le interazioni molto più veloci, più semplici e meno rischiose.
L’atteggiamento pragmatico caratteristico degli studenti di oggi si colloca nel contesto di una più generale tendenza della società a una concezione individualistica, opposta all’orientamento comunitario e istituzionale dei decenni passati.
Non deve trarre in inganno l’aumento del volontariato e dell’imprenditoria sociale tra i giovani, la motivazione di tale tendenza nasce più dal desiderio di riempire il proprio curriculum che dal fare qualcosa per la società.
La crescente attenzione in ambito educativo, rivolta ai test standardizzati e ai punteggi calcolabili pare essere la principale causa dell’aumento di passività nei giovani e della loro avversione al rischio. Negli Stati uniti, iniziative federali come No child left behind e Race to the top hanno subordinato i finanziamenti governativi ai punteggi degli studenti, imponendo così a ogni scuola di organizzare l’intero programma scolastico in vista dello sforzo di migliorare i risultati degli studenti in tali test.
L’industria dei test non è indifferente a questa “atmosfera app” fatta di classifiche, calcoli e curriculum preconfezionati. Questo tipo di ambiente educativo incentiva l’avversione al rischio, mettendo in cima alle priorità la scelta dell’opzione corretta in un test a risposta multipla; inoltre rischia di accentuare l’ansia al punto che un fallimento al test non solo diminuisce le possibilità di accedere all’università, ma può portare a far licenziare un insegnante o a far chiudere una scuola.
I media digitali stanno trasformando e continueranno a trasformare l’educazione. L’educazione non è più un concetto limitato all’età scolastica, ma riguarda l’intera vita. L’educazione comincia appena un bambino è in grado di giocare con telefoni, tablet e telecomandi, e continua per tutto il tempo in cui una persona è attiva nel mondo.
Viviamo in un tempo in cui le persone possono studiare o tentare di acquisire nuove capacità, quando vogliono, alla velocità che desiderano, da sole o con altri, con o senza un attestato o altre forme di certificazione. L’idea di un percorso scolastico e formativo unico e valido per tutti è ormai considerata un anacronismo, se non un crimine.
La mentalità app sempre più nutre il “digito ergo cogito”, la convinzione assai pericolosa di una educazione fai da te che non necessita di aule, laboratori, relazioni con le persone, con docenti ed esperti.
Ocse e Banca mondiale hanno contribuito a lanciare nel mondo l’idea che il corpus di conoscenze da apprendere sia quello indicato dall’acronimo STEM: scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, una sorta di quartetto app. Che esista un unico modo corretto di insegnarlo e un altrettanto unico sistema per misurarne i risultati: i test a scelta multipla, somministrati da una macchina e valutati da una macchina, emessi dall’Educational testing service.
L’incubo che si possa classificare ogni studente, ogni insegnante, addirittura ogni paese sulla base dei risultati ottenuti con questi metodi che si presumono corretti ed esaurienti, sta diventando ogni giorno sempre più una realtà.
Al momento ci consoliamo all’idea che nessuno dei grandi da Dante a Eliot, da Newton ad Einstein, da Raffaello a Picasso si sarebbe distinto stando a queste valutazioni. Ma siamo altrettanto convinti che l’educazione sia troppo importante, e troppo complessa per essere data in appalto alle app dell’Educational testing service o del GERM, Global educational reform moviment dell’Ocse e della Banca mondiale.
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Giovanni Fioravanti
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