DIARIO IN PUBBLICO
Volgarità, nel tuo nome tutto è possibile
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Un famoso cantante, sempre con cappello calzato, gorgheggia ormai in ogni spazio televisivo la sua canzone che invoca la felicità. Nella mia proustiana memoria involontaria si fissa un ritornello disperato, che il sonno scandisce e restituisce al mattino sulla musica della canzone: “Volgarità, volgarità per favore stammi lontano…”.
Poi, mentre la giornata passa laboriosamente, tra la preparazione all’intervento che ho tenuto in apertura al grande convegno canoviano a Bassano nel bicentenario della morte dello scultore, e la faticosa prosecuzione di un saggio su Marcel Proust [Qui], le incursioni sulle opere di scrittori/ci contemporanei, apro la tv e nuoto fin quasi allo sfinimento nel mare assurdo della volgarità tra vestiti incredibili, personaggi assurdi e, ancor più grave, tra petulanti ‘osservatori’, sempre quelli, che dopo i consigli pandemici, ci affogano di terrificanti note sulla guerra e sulle ‘ragioni’ della guerra.
Inquietante lo sguardo vuoto di un ‘professore’ dai capelli rossastri, che annuncia la necessità di sottostare alle pretese russe. Tra semi-nascosti – o esibiti – scarabocchi incisi sulla pelle i cosiddetti ‘esperti’ pontificano, mentre un simpatico conduttore esibisce una camicia viola in spregio alle antiche superstizioni su quel colore.
Gorgheggia, avvolta nei suoi pezzi unici, una bella – un tempo – conduttrice [Qui] di un programma nel segno e nel nome di un famoso film felliniano. Nello stesso canale un’altra conduttrice dalla voce roca si sbraccia a contenere l’infinito eloquio di commentatori sulla via del declino soprattutto mentale, mentre altri, indispettiti dell’attesa, abbandonano la postazione con un singolare coup de theatre.
Allora chiedo rifugio ad un programma semi-didattico [Qui] che porta nell’immaginario al trionfo sanguinario della ghigliottina. Invano! La mia deplorevole insipienza sportiva rende inutile ogni tentativo di conquistare anche se virtualmente l’agognato premio.
Rimane la risorsa ormai quasi esaurita dei film, ma nella rivisitazione si scoprono momenti dimenticati, oppure che si pongono in modo diverso nel percorso della vita.
Tra il caldo che avanza e la banalità delle proposte culturali ferraresi, unico rifugio ovviamente la libreria dove, avvolto nel manto regale dei libri, spando da gran signore il danè per rimpolpare i filoni dell’acqua sapienziale, che rifluiranno nel corso segreto del fiume della memoria.
Ma la curiosità non si spegne e allora sorrido alle volgarità in ‘Ferara’, sottolineate da un bravo giornalista dallo spirito molto indipendente e mi rifiuto di commentare quei cortei falso-rinascimentali che invadono le vie della città. Essere un vecchio petulante a volte ha i suoi vantaggi.
Fra poco mi toccherà l’ultimo atto. Il recupero dei volumi dove ho studiato nel tempo universitario e le collane, un tempo considerate imbarazzanti dalla mia isterica volontà di perfezione, della grigia BUR, che ora appare invece strumento importante di conoscenza.
E ancora qui, pensando al destino della mia faticosamente conquistata cultura, perché non accendere un bel fuoco sull’aia e bruciare note, quaderni, libri di quel tempo? Ma non sarebbe un atto di stampo nazistico e la vetta della volgarità?
Per ora c’è ancora un breve tempo per pensarci.
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Gianni Venturi
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